Si parla tanto anche di Libia in questi giorni, di come abbiamo leccato e "baciato" mani impure e macchiate di sangue. Che questo sia un dato di fatto (non solo italiano ma noi ci abbiamo messo anche del nostro per una certa permissività nell'ospitare il raìs...) é accertato, ma questa storia che vi voglio raccontare ha dell'incredibile anche se non riguarda petrolio, potere, rivolta per cacciare un despota, ma riguarda 400 bambini, un ospedale ed il Governo libico.
Zakia Saltani é una donna libica coraggiosa. Minacciata e "consigliata" di non avere contatti con la stampa per raccontare la storia di orrore di cui vi parlerò tra breve, dopo ben 13 anni di paure e silenzio ha deciso di parlare e di raccontare al giornalista
Mike Elkin su Newsweek (pagg. 42-43 dell'ultimo numero march 21. 2011) tutto per filo e per segno.
Ospedale pediatrico Al Fateh a Bengasi: 13 anni fa iniziò tutto quando 400 bambini ricoverati per quelle che noi consideriamo banalità (febbre alta, raffreddore, tosse, ecc...) e di età diversa ma ovviamente molto bassa, trattandosi di un ospedale pediatrico, sono "usciti" da quella struttura con un "regalino" non gradito in più: hanno lasciato quel luogo affetti da HIV, ossia Aids.
Zakia mostra la foto di Ashur, suo figlio, morto per complicazioni dovute a questa malattia all'età di 8 anni.
Prima il governo minimizza la cosa, nega anche che si tratti di qualcosa di grave, qualcuno afferma che era soltanto TBC, poi quando si scopre di che malattia veramente si tratta, afferma che la stessa doveva essere stata contrattata fuori da quella struttura e perfino fuori dalla Libia!
Poi, quando lo scandalo ed il bubbone scoppiano, accusano falsamente un medico palestinese e cinque infermiere bulgare di essere colpevoli negligentemente di e per questo contagio.
Ma alla fine, il processo non porta a nulla, e la verità viene fuori. Scarsa igiene e profilassi sono le cause di questa tragedia. Nessun esperimento o volontaria inoculazione del virus, solo probabilmente siringhe infette e situazioni ad alto rischio di contagio all'interno di quell'ospedale. Infatti nessuno di questi bambini infetti ha ricevuto sangue o altri emoderivati ma broncodilatatori, antibiotici, iniezioni intramuscolari, steroidi.
Quella di Zakia ovviamente non é l'unica storia.
Minacce, soldi offerti, e tanti soldi nel frattempo ottenuti dall'estero (Italia compresa). Molti di quei bambini furono anche mandati in strutture italiane per essere assistiti e controllati (e questa é paradossalmente l'unica nota positiva di questa squallida vicenda)
Zakia ha mostrato coraggio nel realizzare questa intervista. Prima di iniziarla un emissario del Governo libico che tiene i contatti con le famiglie ammalate per l'invio dei farmaci, tal Oraibi la chiama al telefono. Lei mette il vivavoce affinché anche il giornalista possa ascoltare la conversazione.
Oraibi la minaccia dicendo che se Tripoli sapesse delle sue intenzioni, della sua violazione del "patto di silenzio", verrebbe immediatamente a cessare ogni invio di medicinali a Bengasi.
Questo significherebbe condannare a morte la stessa Zakia che ha contratto l'Aids allattando al seno suo figlio, poi morto, Ashur. E' un modo raro ma possibile di contrazione della malattia. Questo spiega a che tenera età fu portato Ashur in quel lager.
Ma Lei non si lascia intimidire, risponde che non aspetta neanche che arrivino le medicine per poi rilasciare l'intervista, che é ora che le cose si sappiano e Gheddafi se ne vada e Oraibi con lui.
Mette giù la cornetta e, come riporta lo stesso Elkin, inizia l'intervista qui riassuntavi.
Ed un vero atto di coraggio e verità ha avuto vita.
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