sabato 24 febbraio 2007

INTERVISTA A: Dijana Pavlovic

Come promesso eccovi postata l'intervista realizzata questa mattina a Dijana Pavlovic. Un incontro molto stimolante, ma non voglio aggiungere altro. Desidero che siate voi, anche se l'intervista è un po' lunghetta LOL, a farvi un'opinione e commentarla.

Solo una nota di servizio: avendo avuto tempo a disposizione ed anche grazie alla cortese disponibilità di Dijana, ho inserito le domande di Remington, Maddie ed anche di Lilly nell'intervista.

Grazie a tutti per aver collaborato attivamente! Commentate sempre numerosi! Ed adesso vi lascio all'intervista.

Daniele Verzetti, il Rockpoeta

ROCKPOETA: Un caloroso benvenuto sul blog a Dijana Pavlovic, è un onore ospitarti. Prima di iniziare con le domande presentati brevemente per tutti coloro che ti leggeranno.

DIJANA PAVLOVIC: Sono Dijana Pavlovic, ho 30 anni, nata in Serbia in un paesino che si chiama Vrnjacka Banja - (manca l’accento ricurvo sulla “c” in cima, la mia tastiera non lo prevede sic) – arrivata in Italia nel 1999; un mese prima dei bombardamenti di Belgrado. Ho iniziato a lavorare prima come attrice, perché quella è la mia professione, ho imparato la lingua, ho lavorato come attrice in diversi teatri di Milano; poi sono tornata alla mia vecchia battaglia, vecchia passione che consisteva nel divulgare la cultura Rom, nel dire alle persone che ci sono i poeti Rom, che ci sono delle poesie popolari fantastiche, che c’è una cultura ed una tradizione dietro; facevo gli spettacoli su tutto questo, ma mi sono resa conto arrivando in Italia che la situazione era pesante e che lavorare solo sulla cultura Rom non aveva senso, perché non c’erano né ci sono adesso le condizioni sociali e di base per poterlo fare. Ho quindi iniziato a collaborare con l’Opera Nomadi e due anni fa ho cominciato a fare la mediatrice culturale per i bambini Rom in una scuola elementare milanese, e là, poi , un po’ ti scontri con una realtà difficile. Io poi , occupandomi dei Rom, io che sono Rom, sento questo come un dovere morale, un obbligo, e non lo faccio per soldi, nè per interesse personale ma lo faccio perché lo sento molto, è per me una responsabilità forte.

ROCKPOETA: Quella sera, (il martedì 20 febbraio 2007) durante il tuo intervento, ho notato una cosa che subito mi ha colpito e cioè che non avevi la fierezza di essere Rom ma la fiera dignità, cioè il voler “rivendicare” la dignità di un’etnia e di un’appartenenza senza avere atteggimenti esteriori di sicumera.

DIJANA PAVLOVIC: Infatti quello era il senso del mio intervento, dato che quella sera si è parlato molto dell’importanza di prendere coscienza , si è parlato di autocoscienza della cittadinanza..

ROCKPOETA: Vero, e forse anche con alcuni interventi che , a mio avviso, non erano così pertinenti alla serata, non trovi?

DIJANA PAVLOVIC: No, va beh c'entravano perché ci si chiedeva anche perché siamo diventati così cattivi così brutti, però in effetti neanch’io ho capito cosa c'entrasse il Direttore della Fiera di Milano per es., però chiunque voglia aiutare e dare un contributo a questo tema ben venga ed è sicuramente ben accetto. Il problema però è che come spunto si è preso un caso preciso come quello di Opera; ma il vero problema del rapporto è quello di riconoscimento, anche istituzionale, di dignità. Io sono d’accordo che bisogna aiutare chi ha bisogno, ma la carità istituisce un rapporto di subordinazione tra chi dà e chi riceve, solidarietà invece è un’altra cosa è, come dire…

ROCKPOETA: Aiutarvi a fornirvi i mezzi necessari per poi poter camminare con le vostre gambe, detto in parole molto semplici.

DIJANA PAVLOVIC: Si, il problema grosso, vedi, è che adesso in questo momento noi Rom siamo in una condizione tale da accettare qualunque soluzione che sia imposta, proposta, data, pur di sopravvivere. E allora Don Colmegna quella sera quando ha affermato che quei Rom volevano loro stessi spontaneamente firmare il patto di legalità per dimostrare di essere onesti , di non essere dei ladri o dei criminali, questo è terrificante.

ROCKPOETA: A tal proposito parliamo del progetto di Opera: io, sul blog, avevo scritto un editoriale relativo alla puntata di Lerner all’Infedele che trattò di questo argomento.

Devo dirti che a me, invece, quel “progetto pilota” come lo definisco, aveva colpito molto perché mi sembrava positivo anche se per una sola ragione: premesso che condivido il tuo punto di vista sul fatto che essendo voi comunitari, sarebbe sufficiente che rispettaste le nostre leggi, che il vostro “Patto di legalità” dovrebbe quindi consistere nel non violare le norme del nostro ordinamento, (dato che per esempio, ad un francese nessuno si sognerebbe mai di far firmare un patto di legalità) è anche vero forse che vista la situazione per la quale c’è chi sostiene che sia difficile per es. censirvi, e dove cmq esistono atteggiamenti e stati d’animo di timore e diffidenza reciproca, io pensavo di aver scorso in questo strumento, che pur ferisce la vostra dignità, un qualcosa che potesse essere un punto di partenza, un primo passo, necessario anche se doloroso, per avvicinare le due realtà e per non dare più scuse a nessuno, né a coloro che si attaccano a luoghi comuni ed a pregiudizi per non volervi accanto, né a quelli di voi (dato che i buoni non stanno mai da una sola parte…) , magari anche se pochi, che invece gradiscono l’anonimato per poter agire nell’illegalità. Un primo passo appunto, per poi una volta dimostrato che integrarsi è possibile, abbandonare questo “strumento di emergenza” per poi applicare semplicemente la legge italiana essendo voi comunitari. Ma tu so che non la pensi così vero?

DIJANA PAVLOVIC: Ti spiego perché non la penso così. In primis se il Patto di legalità fosse davvero uno strumento creato per quella occasione, per quella situazione, per fronteggiare un’emergenza come per es quella di Triboniano, io non sarei d’accordo lo stesso ma capirei il ragionamento. Non capisco però perchè si vada in giro a parlare dei Patti di legalità come “modello nazionale”

ROCKPOETA: Ho capito, tu temi l’istituzionalizzazione del patto di legaltà

DIJANA PAVLOVIC: Infatti, vedi non è solo la forma. Sotto il punto di vista ideologico è vero ferisce la dignità delle persone perché i Rom di Opera sono persone per bene, con un contratto di lavoro. Sono povere, d’accordo, ma non sono ladri. Un’altra cosa è per Via Triboniano

ROCKPOETA: Si, poi arriveremo a parlarne, ora continua con Opera.

DIJANA PAVLOVIC: Vedi, continuando il discorso su Opera, quello che volevo sottolineare, è il messaggio pericoloso che questo Patto manda alle persone. Tu leggi i titoli dei giornali che riportano che i Rom hanno firmato un patto di legalità per cui se soltanto sgarrano di una virgola , i responsabili saranno subito allontanati, e poi ri portano le parole dell’Assessore Moioli “fate i bravi che se sgarrate solo di una cosa vi sbattiamo fuori…” E allora vedi, che in questo modo il messaggio che passa alle persone normali è che è giusto che i Rom debbano avere un trattamento diverso, perché sono tutti ladri, ecc ecc… Poi in fondo penso che se c’è una legge questa debba valere per tutti senza fare distinzioni né creare cittadini di serie A o B.

Un altro aspetto è poi come il Patto si produce in realtà. Se hai avuto occasione di leggere il documento, ad Opera prima di essere cacciati….

ROCKPOETA… Sì, ne ho scritto sul blog, quella per me è stata una nostra sconfitta.

DIJANA PAVLOVIC: infatti, vedi loro hanno rispettato il Patto di legalità , le istituzioni no, perché non sono state in grado di garantire loro la sicurezza. E questo ti dimostra come poi non serva un Patto di legalità a convincere attivisti politici che sono lì davanti a fare il presidio, e questo è giusto sottolinearlo, per mandarci via. Un giorno, ci sono stati dei titoli sui giornali , che parlavano di un Rom che mi pare avesse picchiato la moglie e che pertanto era stato subito allontanato dal campo. Giustamente, io poi sono una donna pertanto sento ancora di più questa cosa, ma quello che sarebbe però stato più giusto era che ci fosse stata una denuncia da parte della moglie e lui ne rispondesse di fronte alla legge.
Perché questo non vale per gli italiani, e perché non vale per tutti anche quelli in Via Triboniano?

Tra l’altro, sono stata proprio ieri là un paio d’ore. Non puoi neanche ospitare parenti . Non puoi ospitare nessuno nel container nemmeno per due ore se non chiedi il permesso

ROCKPOETA: Devi ammettere che laggiù la situazione è particolare, è davvero un’emergenza.

DIJANA PAVLOVIC: No , perché vedi, quest’ emergenza di Via Triboniano dura da anni. Allora qual è il trucco? Creare un’emergenza e, una volta risolta, crearne sempre di nuove. Adesso tutti quelli che sono nel campo di Via Triboniano, mica sono tutti là con il container a rispettare il patto di legalità. Ci sono quelli che hanno potuto sottoscriverlo e quelli che invece non hanno potuto.

ROCKPOETA: Potuto o voluto? Perché alcuni non avrebbero potuto sottoscrivere detto patto?

DIJANA PAVLOVIC: Non hanno potuto perché per loro non c’è il container, perché l’ultimo censimento è stato non quello dell’ultimo incendio ma di quello precedente per cui tutti coloro che allora in quel momento non avevano documenti, o non c’erano, adesso non hanno un container e sono a fianco in una baraccopoli. Per cui tu hai una situazione di degrado terrificante; ho anche delle foto che lo testimoniano.

Da una parte tu hai una baraccopoli come quella di prima con baracche, roulottes, ecc.. , con gente che è riuscita a mantenerle e altri invece che cmq ogni due giorni vengono allontanati per cui le baracche se le ricreano perché dormono o per strada o in macchina.

Via Triboniano è una cosa incredibile da non crederci: sporco, topi, pantegane, i bambini in mezzo a tutto questo orrore. Non so se mai ci sei stato, ma è da non credere a ciò che si vede quando ci si arriva. Si attraversa una stradina, molto
piccola poi vedi tutti questi container bianchi, puliti, recintati, operatori che lavorano con i bambini che disegnano, che sono puliti, hanno l’acqua, mentre di fronte c’è un altro bambino è in mezzo al fango, allo sporco, alle pantegane, senz’acqua… e sono cugini.

ROCKPOETA: Possiamo quindi sgombrare il campo da un altro pregiudizio e cioè che voi non volete vivere in quelle condizioni ma vi trovate costretti a farlo.

DIJANA PAVLOVIC: Vedi , pregiudizio, giudizio, quella sera (il 20 febbraio 2007 n.d.r.) c’era uno psicologo che parlava di razzismo e pregiudizio, ma mi dispiace che non abbia parlato del rapporto delle minoranze ed il pregiudizio su loro stesse, perché ovviamente tu se sei minoranza etnica il pregiudizio lo subisci come giudizio e questo ti segna la vita. Non sono psicologa, per cui forse farò più fatica a spiegare il meccanismo, ma vedi quando tu subisci continuamente un giudizio ingiustamente nei tuoi confronti, ti rassegni a quel destino, e ti senti come obbligato a seguire quella strada, perdi la speranza. E’ una cosa che molti psicologi affermano questa. Certo i pregiudizi ci sono come esistono anche i problemi di legalità questo non lo nego di certo, non lo si può negare. Però ti dico una cosa: questa gente , soprattutto i Rom romeni vivono nei ghetti da anni. Via Triboniano prima dell’incendio era 3000 metri quadri recintati, 600 persone dentro senza acqua , luce, gas. Una fontanella esterna per prendersi l’acqua. Se tu vivi in quelle condizioni, e sei costretto a viverci in quelle condizioni, uno poi rinuncia.

Ti porto come testimonianza, la storia di questo ragazzo incontrato ieri che si chiama Eddy e che sta nel campo di Via Triboniano: lui è muratore, aveva un lavoro; quando c’è stato l’incendio ha perso la casa ha perso tutto; non è stato censito nello scorso incendio perciò non ha potuto avere la roulotte. Ha pertanto costruito una baracca che sono venuti a buttargli giù con la ruspa, e quindi ha dormito in macchina per quindici giorni. Ad un certo punto, ritardo al lavoro, occhiaie, perché era stanco, sai dormire in auto non è semplice Alla fine ha dovuto anche ammettere che viveva in Via Triboniano e che era un Rom e così ha perso il lavoro. Ma di casi come questo ce ne sono tanti, i Rom romeni sono bravissimi muratori.

Veniamo al problema di sicurezza e di ordine: A Milano quanti sono i Rom? Secondo un censimento dell’Opera Nomadi, prima dell’entrata della Romania nell’Unione Europea, si stimavano, a Milano appunto , intorno ai 4500. Io credo che quel dato sia corretto dato che li ritengo abbastanza informati. Ebbene metà di questi 4500 Rom sono bambini, quindi ci sono più o meno 2000 persone adulte Rom potenzialmente in grado di delinquere. Anche ammettendo per assurdo che tutti siano dei criminali, volendo affrontare una situazione di criminalità causata da 2000 persone, tra l’altro controllabili perché sono nei campi, lo puoi fare se sei una città come Milano e lo puoi fare anche facilmente. 2000 persone che delinquono sono un numero esiguo e tra l’altro per reati piccoli

ROCKPOETA: Si potrebbe ribattere che se rubo un portafoglio è difficilissimo che mi succeda qualcosa, è quasi impossibile che venga preso se non in flagranza di reato, quindi cmq sconfiggere la microcriminalità non è così facile.

DIJANA PAVLOVIC: ho capito ma non puoi portare in prigione uno e dargli l’ergastolo per il furto di un borsellino.Ora è vero che la microcriminalità è difficile da controllare, ma se io fossi un cittadino alzerei lo sguardo su problemi più seri inerenti la criminalità come la mafia per es. Certo io capisco che la gente subisce in prima persona la microcriminalità da chiunque compiuta e la senta come un fenomeno minaccioso, ma ci sono cose ripeto più gravi da contrastare. Poi , d’accordo 2000 Rom li si potrebbe anche fucilare, o murarli vivi. Ma ribadisco sono altri i problemi più seri. Vedi a volte ci troviamo di fronte ad un’invenzione mediatica. Si va a periodi, ad ondate. Io capisco che passo per l’avvocato difensore della mia gente, ma ripeto si va a periodi: c’è per es. il periodo degli albanesi e allora i giornali titolano”criminalità albanese”

La verità è che a loro serve un “nemico” brutto, sporco e cattivo per poter governare la gente perché quando la gente ha paura è più controllabile. La gente ha paura e loro dicono “Ti proteggo io”. Vedi, certo che poi la gente ha paura; tu leggi i giornali di qualche mese fa dove titolavano” 40.000 Rom romeni a Milano”Come 40.000? Sarebbero davvero tanti! Ma le cifre sono gonfiate e così si creano allarmi, si cerca di gettare discredito mostrando solo i bambini che rubano il portafoglio. Certo che ce ne sono, ma allora bisognerebbe anche parlare di assistenti sociali; dove sono? Perché non intervengono?Perché il Tribunale per i minorenni non agisce? Perché questi bambini non sono a scuola? Perché non li portiamo in una comunità?


ROCKPOETA: Questa tua affermazione mi permette di farti una domanda che avevo in mente già da martedì scorso: e cioè se si tratta o meno di una leggenda metropolitana il fatto che i Rom abbiano delle loro “leggi” non scritte che applicano all’interno della loro comunità, rifiutando così l’intervento della legge “ufficiale”. Te lo chiedo perché nel tuo intervento, quella sera, avevi chiamato in causa il Tribunale dei Minori accusandolo del fatto che si disinteresserebbe o che si sarebbe perfino già disinteressato di casi importanti inerenti bambini all’interno dei campi. Ma, non pensi che in questo caso la colpa sia da dividere a metà, tra gli organi istituzionali che hanno dichiarato la resa colpevolmente, ma anche delle diverse etnie compresa quella Rom a causa della loro chiusura verso l’esterno (almeno in passato)?

DIJANA PAVLOVIC: L’etnia Rom in effetti è molti chiusa. Ha alcune regole derivanti da tradizioni antiche. Quella sera, Don Colmegna nel suo intervento sottolineava il fatto di come forse sarebbe il caso di controllare le nascite all’interno dei Rom e impedire che le donne abbiano presto bambini anche quando sono ancora minorenni.

ROCKPOETA: Ma perché questo succede, è possibile che accada?

DIJANA PAVLOVIC: Si, si è possibile perché nella cultura Rom le donne si sposano molto presto, razionalmente e dicono “noi cresciamo con i nostri bambini”
Ovvio che questa è una cosa che con il tempo oramai è destinata a cambiare. I giovani rom non sono totalmente distaccati dal mondo d’oggi.

ROCKPOETA: però scusa, ma a prescindere dall’intervento di Don Colmegna, lo sposarsi così presto mi sembra anche limitativo per la donna non trovi?

DIJANA PAVLOVIC: beh si è limitativo ma è anche un fatto di cultura, di tradizione. Certo che ci vuole un altro modo per affrontare il problema delle nascite magari usando i preservativi…però poi la Chiesa chissà cosa ce ne dice… è cmq un processo lungo, perché se sei un gruppo isolato e hai quelle poche regole di tradizione e cultura, questa mentalità , nel momento in cui si ha un’apertura, muta con il tempo ma gradatamente. Adesso tra l’altro i Rom hanno una crisi di identità forte e bisogna che trovino un modo per evolversi.

ROCKPOETA: Come sta cambiando la vostra situazione? Come vedete la realtà e la società di oggi? Vi state trasformando in stanziali per necessità o per scelta?

DIJANA PAVLOVIC: Beh ci siamo già trasformati in stanziali. Tanti di noi vengono da Paesi dell’ Est dove il nomadismo è stato in qualche modo affrontato e cancellato no? Tutte persone che avevano una casa, un lavoro, con tutte le difficoltà del caso, ma che avevano qualcosa. Come è la realtà oggi… Io penso che è come nelle favelas, vedo il disagio sociale assoluto ma con un’antenna satellitare per vedere i programmi romeni. Però io penso che questo sia anche colpa di come si comporta con noi la società “civile” perché non esiste un modello unico di vita. E quello che fà invece questa società, è di abbandonarli lì con coca cola e cibo di macdonalds… quindi il peggio della società occidentale è quanto ci viene dato.

ROCKPOETA: Mi interesserebbe però riprendere il discorso che avevi fatto quella sera sulle accuse al Tribunale dei Minori di Milano se vuoi.

DIJANA PAVLOVIC: scusami si è vero mi chiedevi del Tribunale dei Minori. Ho fatto quelle affermazioni quella sera perché è da due anni che seguo un bambino che ha 11 anni ed è sotto psicofarmaci; una grave situazione familiare di violenze e di abusi, un diagnosi di disturbo di personalità, bambino sensibile, se lo vedi è il classico bulletto, pericoloso per sé e per gli altri. E' seguito dal Tribunale dei Minori e da un’assistente sociale. Ha un educatore, ci sono io, ci sono le maestre. Tutto questo per riuscire a gestirlo in classe.

Allora sono due anni che cerco una soluzione per questo bambino e non sono una incapace. In sintesi, ad un certo punto io vengo a sapere che aveva bruciato da solo una roulotte. Allora ho pensato che questo non era un gesto impulsivo, ma era stato pensato: doveva prendere la benzina, agire, ecc.. Quindi qualcosa stava cambiando e avevo anche paura che fosse utilizzato e sfruttato per fare altri atti di violenza. Il padre è tossicodipendente, la madre incapace di gestire questa situazione. Allora vado dall’assistente sociale per dirle che forse era il caso di affidarlo ad una comunità: ha bisogno di cure, prende psicofarmaci pesanti ( che poi tra parentesi sua madre un giorno gli dà le medicine un altro no, e questo provoca in lui degli sbalzi caratteriali notevoli), e quindi le faccio presente che forse è il caso di agire.

Solo che l’assistente sociale, anche perché timorosa di entrare dentro al campo, non agiva. Poi finalmente alla fine praticamente “costretta”, scrive al Tribunale dei Minori un rapporto dove afferma che il bambino deve essere affidato ad una comunità per essere curato meglio e che gli serve un ambiente protetto.

Il Tribunale convoca la mamma, dicendo che non hanno intenzione di togliere il bambino alla famiglia ma che se lei voleva entrare con il figlio in comunità non ci sarebbero stati problemi. La mamma, furbetta, fa la classica sceneggiata del tipo “Noi Rom non sopportiamo le regole”, ecc.. E allora il Tribunale dei Minori ha risposto all’assistente sociale dicendo di trovare per la mamma ed il bambino una comunità senza regole. Ti pare possibile??? Perciò l’assistente sociale rinuncia.

Dopo un ulteriore fatto grave compiuto da quel bambino, l’assistente sociale ha riproposto la richiesta di affido in comunità ma ad oggi ancora nessuna risposta dal Tribunale dei Minori. Nel frattempo questo bambino era seguito da questo neuropsichiatra una volta al mese, giusto per dargli le medicine ma senza avere un supporto psicologico. A Settembre di quest’anno gli sospende la terapia e sparisce per tre mesi. Ora, tu pensa abbandonare una terapia farmacologica di questo tipo su un bambino oramai quasi tossicodipendente e sparire solo perché non avendo più un contratto con l’Asl se ne è andato. L’altro bambino che non è Rom, che ha problemi ma meno gravi, ha avuto un sostituto, lui no. E abbiamo dovuto cavarcela quindi da soli avendo a che fare con la crisi di astinenza, sbalzi di umore, ecc… E non è un caso isolato, se tu parlassi con altri mediatori culturali vedresti che ascolteresti altre storie come questa.


ROCKPOETA: Passiamo ora ad una domanda (in realtà più domande in una) che devo per forza farti: d’altronde lo scopo di questa intervista era anche parlare di quelli che possono essere o meno pregiudizi e affrontare la questione per fare chiarezza: premesso che ci sono molte etnie, rom, sinti, ecc… e premesso che non si può fare di tutte le erbe un fascio, come ti poni di fronte allo sfruttamento dei bambini per fare l’elemosina? Pensi si stia creando forse una divisione al vostro interno tra coloro che vogliono vivere dignitosamente e quelli che invece vogliono vivere di espedienti? O ancora ci sono magari etnie più disposte al dialogo ed all’integrazione rispetto ad altre più rigide, o semplicemente queste situazioni di sfruttamento minorile si verificano in ogni realtà nomade? Puoi fare luce su questo punto per favore?

DIJANA PAVLOVIC: Beh, una cosa sono le etnie che sono davvero tante ce ne sono una ventina solo a Milano tra diversi Rom

ROCKPOETA: il rapporto fra queste etnie com’è?

DIJANA PAVLOVIC: Non è conflittuale è un po’ di distacco. Conflittuale lo diventa a volte quando capita che li mettano tutti nello stesso campo e questo è un grave problema per noi.

ROCKPOETA: permettimi di fare l’avvocato del diavolo, ma si potrebbe sostenere che se non riuscite ad integrarvi tra di voi come potete sperare di riuscire a realizzare un’integrazione con una realtà così diversa come la nostra?

DIJANA PAVLOVIC: Beh noi cmq siamo un popolo e con il mio lavoro cerco di fare in modo che tutti noi si prenda coscienza di questo. Abbiamo in progetto di andare di campo in campo a parlare proprio di questo problematica. Però non può essere una scusa il fatto che solo perché noi non siamo uniti non dobbiamo essere accettati dagli altri, da voi. Vedi dipende cosa intendi per integrazione

ROCKPOETA: Beh intendo il convivere civilmente anche se vicini, magari vicini di casa senza scannarsi…

DIJANA PAVLOVIC: Beh questo capita anche a voi però spesso… cmq parlando di integrazione nel senso di inserirsi come ho fatto io, per mia libera scelta, all’interno della vostra società, e cioè avere un lavoro ed una casa, ti rispondo di sì, la maggioranza di loro vivrebbe nelle case anche perché tantissimi di loro hanno vissuto nelle case in passato; magari povere, ma erano case. Ci sono tante etnie e bisogna far prendere loro coscienza. Questo è un lavoro difficile quando si vive in condizioni di degrado sociale e segregazione razziale, perché un campo nomadi è una segregazione razziale. Allora parlare di qualsiasi altra cosa che non sia "mangiare oggi" diventa molto complicato. A parte il fatto che tutto ciò nasce da questo luogo comune per cui i Rom non vorrebbero vivere nelle case

ROCKPOETA: Ed è soltanto un luogo comune?

DIJANA PAVLOVIC: Allora, pur tenendo presente che ci sono diverse etnie, cmq la gran parte dei Rom vorrebbe vivere in una casa e quindi si tratta di un luogo comune; ci sono invece alcuni gruppi che desiderano vivere in nuclei familiari allargati; nuclei che possono contare al loro interno anche venti persone. Sei d’accordo che è complicato in una casa popolare no?

ROCKPOETA: è complicato ormai quasi ovunque temo.
Adesso facciamo una cosa: porta me ed i lettori del mio blog , grazie anche alla tua esperienza quotidiana, so che vai spesso a Triboniano, dentro un campo nomadi. Triboniano o un altro campo che conosci bene, e dicci quello che non si sa, che non vediamo, che non ci dicono, nel bene e nel male, sinceramente.

DIJANA PAVLOVIC: Il campo di Via Triboniano è un campo unico, non serve come esempio di campo nomadi, detto con grande dolore, perché i “campi nomadi” sono un’invenzione terrificante delle amministrazioni degli anni ottanta. Adesso ti spiego cosa c’è in Via Triboniano, ma gli altri campi sono diversi, somigliano più a villaggi.

Quello che non sapete… beh ho registrato molte cose.


ROCKPOETA: Sì, lo so, ma a parte il degrado, ed i problemi seri di cui si è a conoscenza, qualcosa di particolare che non “fa notizia”

DIJANA PAVLOVIC: Beh, per esempio, io ieri ero in Via Triboniano e c’è una persona che mi dice che dorme per strada ed ho documentazione di questo, è tutto videoregistrato. “Dormo per strada “ mi dice “ed ho tre figlie” Mi dice che vanno alla scuola di Quartoggiaro ma non può più portarle perché dormendo per strada non riescono poi ad andare a scuola per il freddo che patiscono la notte, per la stanchezza dovuta al dormire in auto che non è certo il massimo per nessuno tanto meno per dei bambini. Peraltro anche in Via Triboniano dove dicono che non ci siano bambini Rom che vanno a scuola, invece non è così ci sono e ti parlano come tutti gli altri bambini del mondo. Lui è venuto lì perché ci sono i cuginetti che avendo avuto in dotazione il container, permettono il fatto che, almeno di giorno, lui riesca a dare alle sue figlie un po’ di serenità. C’era questo cuginetto che era un po’ più grandicello che dice “ma lui ha il permesso di soggiorno” Io allora mi avvicino, e gli chiedo di parlare ma lui scappa, si rifiuta, ha paura di parlare ed io gli chiedo perché? Se ha paura di perderlo parlando? E lui risponde di sì .

ROCKPOETA: ma di cosa aveva paura? Ripercussioni all’interno del campo perché lui ha il container ed altri no, oppure timore che l’Amministrazione glielo.."revochi"?

DIJANA PAVLOVIC: No, beh ripercussioni all’interno del campo no, solo che ora hanno avuto il container ed in cambio devono stare zitti; questo pensano, perché hanno timore di perdere l’unica casa che hanno.

ROCKPOETA: ma tu la ritieni una paura fondata?

DIJANA PAVLOVIC: No, beh, non posso dirlo.

ROCKPOETA: Ma non puoi dirlo o non vuoi dirlo?

DIJANA PAVLOVIC: Non posso dirlo, non posso nel senso che affermare una cosa del genere è grave ed io non ho prove concrete.

ROCKPOETA: Ma di pancia? A pelle? Che pensi?

DIJANA PAVLOVIC: Di pancia, a pelle sì penso che qualcuno potrebbe avere qualche problema; come questo ragazzo che ho incontrato e che vorrei diventase un rappresentante Rom. Io vorrei creare un gruppo di persone in grado di rappresentare tutte queste comunità davanti alle istituzioni. Un altro problema è che ai Rom in Italia non è stata riconosciuta la minoranza linguistica nonostante il Consiglio d’Europa solleciti da anni questo riconoscimento.
Il problema è che ci vuole una legge per stabilire alcune cose.

ROCKPOETA: Veniamo ad una domanda di una lettrice del mio blog e precisamente di Maddie che vuole sapere quale sia la condizione della donna oggi nella vostra società, se schiava o matrona.

DIJANA PAVLOVIC: Le donne Rom sono donne forti, la posizione delle donne non è da schiava assolutamente. Certo, a volte sembra da fuori che le donne Rom siano sottomesse perché è l’uomo che sembra porsi in modo più forte, ma la donna Rom è quella che tiene in piedi tutta la famiglia, è la mamma, è una donna forte. Quelle che conosco io lavorano, sono mediatrici culturali, sono più aperte hanno maggiore facilità ad integrarsi rispetto agli uomini più chiusi ed ancora legati a certi schemi culturali da cui fanno più fatica ad uscire. Le donne no, le donne Rom, secondo me, sono la speranza di questo popolo insieme ai bambini. Le donne Rom sono toste! Insomma non solo tengono in piedi la famuglia ma a volte la mantengono anche.

ROCKPOETA: Io stavo pensando che in questa intervista è capitato spesso di parlare di “Noi”, “Voi”, “Nostre leggi”, “Vostre leggi”, mi chiedo se alla fine il problema non sia proprio questo, cioè se il “Noi” non dovrebbe unire invece tutti quanti pur nelle differenze culturali delle varie etnie e dei popoli, ma nel rispetto di leggi comuni.

DIJANA PAVLOVIC: Vedi qual è il problema, io faccio fatica poi a dire “Noi” “Voi” perché sono Rom ma anche di cultura serba molto e poi mi sento anche italiana, perciò ho già una crisi di identità molto forte ; però questa distinzione io, a volte, la uso apposta perché “Voi”avete la legge italiana e “Noi” i patti di legalità. No, va beh a parte la battuta (sorride) una legge unica mi vede d’accordo, ma che sia quella italiana.


ROCKPOETA: Non pensi però che il fatto che oggi ne stiamo parlando, che oggi non si cerca più di nascondere la questione, sia un inizio per poi arrivare nel tempo attraverso anche un processo sofferto ad una definitiva e reale integrazione?

DIJANA PAVLOVIC: Allora, se io Dijana Pavlovic; faccio l’attrice o la mediatrice culturale o sono una commessa in un negozio o faccio la badante, e devo e "sento” il bisogno di volere il documento da firmare per provare a te che non sono una ladra, ti renderai conto che un problema di fondo esiste e che la cosa va affrontata in un altro modo. Se io cittadina di Opera che ho la casa accanto a quella piazzuola e mi pongo il problema del minor valore della mia casa per la presenza dei Rom, se qualcuno mi dice che i Rom rubano, sono sporchi, e anche se qualcuno mi dice che non è vero ma non mi fido, mi firmano il patto di legalità e non mi fido lo stesso…

ROCKPOETA: In effetti quanto successo ad Opera come ti ho già detto mi ha lasciato molto perplesso perché a fronte dell’impegno preso da parte vostra, dall’altra parte non c’è stata neanche la pazienza di mettervi alla prova anche in attesa se vuoi di vedervi sbagliare però almeno un’attesa corretta.

DIJANA PAVLOVIC: Il punto è anche cos’è che fa l’Amministrazione? Crea come ti dicevo casi di emergenza umanitaria, che non ci sarebbero nemmeno se non ci fossero stati casi di sgombero feroce, ma feroce davvero.
Allora il problema nasce con il fatto che in Via Ripamonti, dove stavano prima, erano su un terreno privato e quindi non autorizzati.
Lì c’erano 70 persone tranquille tant’è vero che se parli con la protezione civile ti diranno che non c’è mai stato il minimo problema. Però era un terreno privato e quindi viene deciso lo sgombero.
Per lo meno però, nel momento in cui le istituzioni decidono per lo sgombero perché il terreno serve ecc… ( e lasciamo stare il fatto che a Milano si vuole fare pulizia, nasconderci agli occhi della gente, toglierci dalle strade per ragioni politiche ed economiche..) quello che chiediamo è che non venga fatto in modo violento, perché usano la violenza quando fanno gli sgomberi. Bastava dire che dovevano andarsene e l’avrebbero fatto. Non c’era bisogno di entrare con le ruspe, senza preavviso e buttare giù tutto, con dentro tutte le poche cose che loro avevano restando senza niente a parte i vestiti addosso.

Ed allora, vedi, se usano la violenza e mandano questo messaggio, perché i singoli cittadini non dovrebbero sentirsi autorizzati a fare lo stesso, visto l’esempio che viene dalle loro istituzioni. Il messaggio che passa è “Si può fare, con i Rom si puo’ fare”.

Se tu agisci così crei un’emergenza umanitaria, e la crei consapevolmente. La soluzione quale può essere? E’ un progetto che non può nascere dall’oggi al domani. Questa è una situazione troppo complicata, delicata, sottile, ed è una questione che deve coinvolgere anche i Rom. Loro devono prendersi la responsabilità ed avere il diritto di discutere del loro futuro.

ROCKPOETA: Tu di occupi di bambini Rom in questa scuola milanese, ma hai più classi?

DIJANA PAVLOVIC: Sì, ho più classi e mi occupo di tutti i bambini Rom di quella scuola.

ROCKPOETA: E com’è l’integrazione fra i bambini?

DIJANA PAVLOVIC: meravigliosa, tra i bambini è meravigliosa. Non ci sono problemi. I bambini Rom oramai sono più italiani degli altri, vista anche la maggiornza di stranieri nelle classi elementari. Casomai a volte qualche problema lo hanno le maestre.

ROCKPOETA: E torniamo ad un’altra domanda di un mio lettore del blog: Remington si domanda il rapporto che i Rom hanno con internet e la tecnologia. Siete come Amelie Nothomb, scrittrice belga che rifugge da cellulari, computer, dall’uso delle mail, che scrive ancora su un quadernetto oppure siete un po’ meno refrattari alla tecnologia in generale?

DIJANA PAVLOVIC: Beh io penso che il problema dell’uso di queste apparecchiature per noi è solo di natura economica. Chi non possiede un computer non può nemmeno usarlo. Però l’interesse è enorme. L’altro giorno ho portato il mio portatile a scuola (loro hanno lezioni di informatica) e ce n’erano alcuni che già lo usavano a casa, pochi però perché siccome io ho una classe con solo due italiani, allora molti di loro fanno un po’ fatica. Per quanto concerne i cellulari invece, beh non ne siamo affatto sprovvisti. Per il computer, non possedendolo raramente lo usano.

Ci sono peraltro in internet due siti e due blog molto importanti che riguardano i Rom. Adesso che tanti bambini vanno a scuola penso che attraverso il passaggio con la playstation e così via poi si potrà arrivare anche ad internet. Credo che questa potrebbe poi essere una soluzione meravigliosa perché attraverso internet si ha la possibilità di comunicare facilmente verso l’esterno. Dacci ancora qualche anno e poi ne riparliamo (sorride).


ROCKPOETA: Ancora due domande, una di un’altra mia lettrice e precisamente Lilly che voleva chiederti come ricordate la persecuzione nazista e lo sterminio dei Rom e se vi sentite ancora come dei paria.


DIJANA PAVLOVIC: C’è una cosa nella cultura Rom che è non parlare mai di morti. Dei morti non si parla, i morti si lasciano in pace.
Ed allora, un po’ per questo motivo un po’ perché non abbiamo una cultura scritta ma orale, si è avuta una perdita di coscienza di “Porrajmos” che sarebbe la Shoah zingara. Si tende a dimenticare, anche perché è vero c’è uno strano senso di colpa che appare, quasi a dirsi che se ci è successo ce lo meritavamo….Un po’ questo fenomeno si crea. Io da qualche anno nella giornata della memoria cerco di parlarne anche con i Rom . E ho fatto anche uno spettacolo alla Camera di Lavoro di Milano l’anno scorso che si intitolava appunto “Porrajmos” ( che tradotto significa “Divoramento”, “Distruzione”) dove c’erano oltre 500 persone e sono venuti 150 Rom di tutte le etnie a sentire. Come una sorta di rieducazione, un tornare a parlare di un argomento molto doloroso perché sono morte 500.000 persone in tutta Europa. Un Olocausto dimenticato e negato anche da parte delle istituzioni. Ci sono testimonianze, prove di quanto è accaduto ma mancano i racconti dalla viva voce di quei Rom sopravvissuti perché gli Zingari non parlano di queste cose, non vogliono parlare di morte..

ROCKPOETA: Per quale ragione? Forte attaccamento alla vita o paura della morte?

DIJANA PAVLOVIC: No, non è paura della morte solo una questione di tradizione, i morti si lasciano stare affinché possano andarsene. Dopo i funerali si piange ma poi ad un certo punto si balla, si canta si va avanti. Peraltro io sono atea..

ROCKPOETA: Anche agnostica? Di solito si dice che gli zingari abbiano poteri, leggano la mano ed altre cose; leggenda metropolitana anche questa?

DIJANA PAVLOVIC: Va beh, io ci gioco un po’ (ridiamo). Io e mia mamma che legge molto bene la tazza del caffè. Lei dice che anch’io lo faccio bene (ride)

ROCKPOETA: Allora prendo un caffè anche se non ne bevo mai e poi ti metto alla prova subito (rido)

DIJANA PAVLOVIC: No, è caffè turco però si deve avere il fondo per poi girare la tazza ma è un gioco.Tutto quello che riguarda la religione per me non… Io sono molto pragmatica.

ROCKPOETA: Ultima domanda: innanzitutto grazie per avermi concesso questa intervista…

DIJANA PAVLOVIC: Grazie a te!

ROCKPOETA: E venendo all’ultima domanda, cosa si chiedono i Rom e cosa ci chiedono oggi?

DIJANA PAVLOVIC: Beh, quella sera io avevo parlato in nome di alcuni Rom chiedendo riconoscimento istituzionale, chiedendo accettazione. Il problema ha due aspetti: da una parte c’è il problema di emergenza umanitaria che va risolto in qualche modo e senza patti di legalità. Tu tieni conto che ad Opera ogni 4 ore si consumavano 150 litri di gasolio, un’enormità. Ma sempre dentro una tendopoli, e faceva poi cmq freddo. Sai, facevano prima a pagargli un albergo, a trovare una cascina o una scuola, anche perché, ripeto, per quanto spendessero per il riscaldamento, sempre tendopoli era e di notte faceva lo stesso freddo. Bisogna risolvere questa emergenza in maniera più sensata non soltanto appoggiandosi agli uomini di fede ma anche alle istituzioni.

Dall’altra parte, il secondo aspetto, che riguarda il riconoscimento istituzionale appunto di un discutere insieme su come affrontare i problemi e poi in ultimo, l'inserimento al lavoro per esempio attraverso Cooperative Rom, che a Milano sono già tre, ma potrebbero essercene di più. E’ vero che come dice De André “dal letame nascono i fior” ma bisogna anche aiutare il tutto. Ci sono le mediatrici culturali Rom che hanno una loro professionalità. Insomma non più considerati oggetto di discussione ma soggetti della discussione. E poi affrontare il problema del rapporto con i media.


ROCKPOETA: ancora una piccola domanda: a me quella sera è sembrato che mancasse qualche altro vostro rappresentante ed anche magari qualche cittadino a discapito invece di qualche altro soggetto che forse era lì solo per farsi bello… No?

DIJANA PAVLOVIC: Il punto è che credo che Lerner abbia voluto fare una serata di autocoscienza più che affrontare le tematiche concrete. Certo si è parlato molto di Banche, Fondazioni e non ho molto capito cosa significasse.. Unicredit che farà? Daranno le case? Hanno fatto questa cosa stile anni trenta con la Fondazione ma Milano è diversa oggi. Cmq è stata un’utile riflessione. Ma la prossima volta l’iniziativa sarà proposta da me e avrà un altro taglio. E ti invito fin d'ora a partecipare. Noi stiamo raccogliendo molte firme contro questo patto di legalità
Un’occasione per confrontarci sul concreto con tutti dalle Istituzioni alle persone come Don Colmegna, Lerner, ma per parlare di cose concrete. E poi ripeto ci vorrebbe una legge anche se hai ragione, che l’integrazione nasce da un’educazione delle coscienze, cosa che non si ottiene per decreto. Ma la legge serve per stabilire delle regole chiare e per sconfiggere questa eterna emergenza. Per trovare una soluzione, dobbiamo tutti lavorarci; la soluzione non può nascere da una trovata di un singolo.

ROCKPOETA: Bene, abbiamo terminato, un grazie sincero a Dijana Pavlovic. Credo che si sia fatta luce su molte cose ed è stato un bell’incontro anche sotto l’aspetto umano. Grazie Dijana

DIJANA PAVLOVIC: Grazie a te. Ciao.

11 commenti:

Anonimo ha detto...

Intervista interessantissima e chiarificatrice. Grazie

Anonimo ha detto...

Grazie per la risposta alla mia domanda!
PS a chi la prossima intervista interattiva?

Anonimo ha detto...

Non mi hai citato sigh! Scherzo ma la mia domanda in fondo l'hai fatta e la risposta è stata illuminante.
Ciao.

Anonimo ha detto...

Bell'intervista. Perchè non sentire Don Colmegna ora? Per avere un punto di vista appena più neutrale.
Complimenti comunque.

Anonimo ha detto...

L'ho letta con attenzione anch'io.
Dijana è una donna da ammirare.
Ps grazie per aver reso mio marito Andrea un po' meno sicuro nei suoi pregiudizi

Daniele Verzetti il Rockpoeta® ha detto...

Ciao Rosy. Beh, vedila così non ti ho citata ma almeno hai avuto "l'onore" (scherzo LOL!!!) di aver pensato la stessa domanda mia :-)))

Per Andrea: grazie i tuoi complimenti mi fanno molto piacere dato che so come la pensi sul tema. Un saluto a Mary, tua moglie; Mary, Andrea é meno "estremista" di quello che forse crede. A volte pensare con la propria testa, anche a costo di sbagliare, é di per sé "estremista" ma va sempre fatto. E Andrea é sempre disposto a mettersi in gioco e ad ascoltare gli altri anche quando é convinto che nulla gli farà cambiare idea. Questo é sinonimo di apertura.

Don Colmegna... non so, non avevo pensato a seguire un filone di interviste sul tema, anche se continuerò a seguire la situazione anche grazie a Dijana con cui resto in contatto.

Peraltro Don Colmegna é favorevole ad aiutare i Rom solo che sul patto di legalità lui é più positivo. Lo ero anch'io ma se anche dopo che hanno firmato finisce come Opera.... Cmq una soluzione va trovata e iniziare a parlarne e, come ho anche detto nell'intervista, a non nascondere più il problema, é segno di una svolta che deve ancora evolversi ma che almeno ha posto in essere i primi passi verso una auspicabile positiva soluzione.

Cmq era la mia prima intervista non avevo neanche idea di come sarebbe venuta LOL!!!

Vedrò non mi precludo niente, é un blog libero sotto ogni aspetto.

Grazie anche a tutti gli altri per i complimenti.

Anonimo ha detto...

Grazie per la domanda e la risposta.
Hai fatto luce su una vicenda con tanti lati controversi. Però dovresti sentire anche altre campane, che ne dici?

Anonimo ha detto...

Cerchiamo di non fare gli ipocriti. L'intervista è interessante va bene, lo stato non fa niente per gli zingari, va bene. Ma dai quelli che vogliono lavorare prima o poi dalla miseria si liberano, la gran parte di loro sono solo fannulloni.

marina ha detto...

L'intervista è interessantissima. Grazie di avermela segnalata. Quando insegnavo andavo nel campo a ridosso della Tuscolana a riprendermi i miei alunni Rom che i genitori non mandavano a scuola. Ma confesso che vedere i bimbi che chiedono l'elemosina, passati di mano in mano( due in particolare sulla Merulana ogni volta stanno con una "madre" diversa) mi fa una grande rabbia. Ho notato che su questo punto Dijana non ha risposto.
continua ad informarci su questo tema

grazie ciao marina

Daniele Verzetti il Rockpoeta® ha detto...

Grazie Marina per il tuo commento. E' vero non ha risposto a pieno ma sembrava durante l'intervista nel suo insieme che fosse contraria.

Anonimo ha detto...

Ci mancava solo la rom candidata. Le abbiamo avute proprio tutte dalla pornostar al transex. Ma cazzo un po' di serietà a quando?
Italiani svegliatevi e riprendiamoci l'Italia!!
Italia agli Italiani