La volta scorsa non avevo dato titolo all'intervista, ma questa volta ho proprio avvertito forte questa esigenza. E credo sia davvero un titolo azzeccato per quello che Simona ci svela di quel Paese, nonché di situazioni e realtà che i "nostri amati media" non ci raccontano...
Un ringraziamento a Maddie, Remington e Marcoblitz che hanno visto le loro domande inserite nella mia intervista, e ad Andrea per un suo intervento che è stato da me riportato in parte nell'intervista.
Quanto alla tua domanda Tex Willer Navigator, vedrai che all'interno di una mia domanda Simona di fatto ti ha risposto.
Ok non dico altro voglio che la leggiate senza nessun altro mio commento.
Grazie a tutti per essere stati così partecipativi anche in questa occasione Ed un grazie speciale ancora a Simona Cataldi.
Daniele Verzetti, il Rockpoeta.
ROCKPOETA: Simona Cataldi, appartenente al C.I.S.D.A., presentati: chi sei, di cosa ti occupi; insomma fai un quadro di te esauriente e sintetico per i lettori del mio blog affinché ti conoscano meglio.
SIMONA CATALDI: Io collaboro con una Onlus che si chiama C.I.S.D.A. (Coordinamento a Sostegno delle Donne Afghane), e siamo un gruppo di donne che ogni anno va in Afghanistan e tiene i contatti con altri gruppi di donne afghane che sono organizzate a loro volta in associazioni Onlus locali. Altre invece sono clandestine come la R.A.W.A. (Associazione Rivoluzionaria delle Donne Afghane)…
ROCKPOETA: Clandestine in che senso? Puoi chiarire meglio questo punto?
SIMONA CATALDI: clandestine nel senso che sono donne le quali decidendo di accostare all’attivismo sociale (e quindi all’assistenza umanitaria, come sostenere i vari progetti di alfabetizzazione o di realizzazione di orfanotrofi ecc ...) anche l’attivismo politico quindi la denuncia politica nel caso afghano, vengono a trovarsi nel loro Paese in seria difficoltà, dato che l’Afghanistan ad oggi non è affatto un Paese pacificato, e sono pertanto costrette a vivere clandestine ossia nascoste per evitare di essere uccise. Solo così riescono a continuare a fare denuncia politica ed attivismo politico nel loro Paese; per loro non è possibile agire apertamente ed alla luce del sole purtroppo.
ROCKPOETA: Certo, quindi clandestine nel senso appunto di donne coraggiose che sono contro un Regime autoritario che le costringe ad essere soggiogate e schiacciate e che, per il fatto di ribellarsi ad esso, le perseguita.
SIMONA CATALDI: Sì, appunto, anche perché spesso subiscono attentati e ritorsioni e devono proteggersi. Basta pensare al fatto che la fondatrice di R.A.W.A, Mina, è stata assassinata, assassinata a 30 anni; ecco guarda, è lei Mina (Simona mi mostra una foto grande una sorta di poster di questa giovane donna afghana dallo sguardo intenso, vero, coraggioso n.d.r.) Oggi cmq R.A.W.A. è una grande realtà che conta 3000 membri e tra l’altro tra loro non si conoscono neanche tutte quante proprio per ragioni di sicurezza e protezione. Non possono più correre simili rischi e quindi adottano varie misure come il non conoscersi tutte fra di loro, avere un comitato che ruota, l’incontrarsi in poche ogni tanto per fare il punto della situazione. Sono però costrette a non uscire allo scoperto per proteggersi, fino a quando la situazione nel loro Paese resterà immutata.
E noi ogni anno ci rechiamo in Afghanistan per incontrarle e per monitorare l’avanzamento dei progetti sociali portati avanti dalle nostre associazioni di riferimento ma anche e soprattutto per vedere davvero come è la situazione di quel Paese, consapevoli del fatto che la realtà che ci viene rappresentata è ben diversa da quella davvero esistente.
ROCKPOETA: Ecco, come è diversa? Te lo chiedo perché anche tu mercoledì scorso 14 marzo eri da Lerner ed hai ascoltato come me gli interventi che si sono susseguiti. E più li ascoltavo più, alla luce di quanto io so e soprattutto del tuo intervento, mi ponevo una semplicissima domanda: cosa ci fosse di esatto in quello che veniva detto in trasmissione e cosa no, dato che quasi sembrava evincersi un livello già piuttosto avanzato anche se fortemente incompleto di democrazia in Afghanistan, cosa di cui io dubito fortemente. E allora ti chiedo: Qual è la situazione oggi in Afghanistan e quali spiragli ci sono per una sua reale democratizzazione? Ed a che punto è realmente tale processo?
SIMONA CATALDI: Diciamo che la realtà dal 2001 ad oggi nella sostanza non è cambiata affatto. E’ vero, ci sono stati dei cambiamenti ma questi, in realtà, sono più formali che concreti. Formalmente infatti non possiamo non dire che è stata redatta una Costituzione egualitaria , che garantisce pari diritti agli uomini ed alle donne, che garantisce a tutti, donne comprese quindi, il diritto all’istruzione, il diritto a poter accedere all’assistenza sanitaria, il diritto al lavoro; esiste la libertà di parola, di espressione, di pensiero, possono accedere ad alte cariche istituzionali ecc.. ma poi nella sostanza rimane tutto sulla carta.
Tant’è vero che ci sono tanti rapporti di Organismi internazionali come lo H.R.W. (Human Rights Watch) o Amnesty International che denunciano il fatto che la situazione nella sostanza non è mutata e che gli indicatori socio-economici (quelli relativi alla sanità , all’istruzione, ecc..) dimostrano che tutto è rimasto invariato. Basti pensare che ancora oggi solo il 14% delle donne afghane è alfabetizzato.
ROCKPOETA: Inoltre, mi dicevi che quello che Vauro (il vignettista legato ad Emergency) diceva su Kabul è vero. La capitale non è affatto ricostruita, e nonostante tutti i soldi arrivati al Governo afghano, Kabul è ancora una città devastata dalle macerie della guerra. E’ così?
SIMONA CATALDI: Sì, è esatto. A Kabul l’elettricità non c’è sempre e non l’hanno tutti, le case sono ancora da costruire, le strade sono ancora da fare, ma a occhio nudo si vedono realizzati grandi centri commerciali; inoltre la presenza di stranieri ha portato ad un tasso altissimo di inflazione che ha danneggiato ancora di più la popolazione. Per cui abbiamo assistito, grazie ad appositi programmi di rimpatrio, al rientro di numerosi afghani, i quali però una volta approdati sul suolo natio sono diventati dei senzatetto in patria. Quindi il panorama che vedi è di numerose rovine con teli, e le persone che continuano ad abitare all’interno di queste rovine. E vicino a questa desolazione, solo poco più in là, vedi invece delle ville lussuosissime appartenenti a Ministri e ad altri rappresentanti istituzionali come Governatori o Parlamentari. Insomma sembra quasi che gli unici cambiamenti che si sono verificati siano stati a vantaggio degli uomini che oggi occupano posizioni di potere in Afghanistan.
ROCKPOETA: Quindi non è così assurdo sostenere che tutto il denaro giunto per la ricostruzione al Governo afghano sia poi finito in poche tasche, e sappiamo quali anche…
SIMONA CATALDI: Beh, il punto è questo: se il Governo o il Parlamento sono ancora per la maggior parte composti da criminali, è chiaro che i fondi che vanno a finire a loro vengono ovviamente anche da loro gestiti e quindi se ne appropriano e con essi si costruiscono le ville per loro; pertanto quel denaro non serve e non viene utilizzato per aiutare la popolazione ed iniziare una vera ricostruzione.
ROCKPOETA: Ma, allora quello che mi chiedo, è: se queste cose le sai tu, è difficile credere che i Governi occidentali non ne siano anch’essi a conoscenza, no?
SIMONA CATALDI: Giusto, infatti il nostro Governo potrebbe fare pressioni al Governo afghano per farsi rendere conto del modo in cui quei soldi sono stati spesi, e di dove siano finiti nonché nelle mani di chi, dato che è sotto gli occhi di tutti che in Afghanistan non è in atto alcun processo di ricostruzione al momento, che tale processo pertanto non è assolutamente visibile.
ROCKPOETA: Però allora a voler essere un po’ più “cattivelli” potremmo anche affermare che forse esiste una forma di connivenza tra gli Stati occidentali e questo Governo afghano per cui c’è l’interesse da parte di costoro affinché Karzai elimini la parte integralista dei Talebani e quelle parti di governo locale che sono una minaccia per la tranquillità occidentale, ma che poi alla fine, una volta eliminato questo problema, se poi Karzai governa al suo interno come meglio crede senza però dare fastidio ai Governi esteri che lo “appoggiano” va bene lo stesso. Insomma in sostanza potremmo sostenere anche, a mio avviso, che l’interesse vero degli Stati che appoggiano Karzai è solo quello di rendere tale Paese “pacifico” verso l’esterno quindi non più un pericolo per gli interessi Usa ed occidentali in genere, a prescindere da quello che succede poi al suo interno. D’altronde con Saddam Hussein è stato così, lui faceva quello che voleva e solo quando ha iniziato a infastidire gli Usa la situazione è cambiata in Iraq. Sbaglio secondo te?
SIMONA CATALDI: No, in effetti questo è soprattutto l’interesse principale degli americani tant’è vero che si dice che il Governo Karzai sia un governo fantoccio in mano agli americani; si dice che dietro ogni Ministero ci sia una ambasciatore Usa che cmq ha l’ultima parola su tutto. Sicuramente è un governo debole ma che nonostante tutto riesce a garantire cmq gli interessi che non sono certo quelli della società civile. Infatti quello che spesso la società civile afghana reclama a gran voce è che se veramente la Comunità Internazionale vuole aiutare gli afghani a ricostruire un Paese, un Paese pacificato e democratico, deve dare voce appunto al popolo afghano, e deve allontanare dal Governo locale i criminali che vi risiedono.
Il popolo afghano accolse con favore persino l’Isaf, che era stato inviato per la ricostruzione del Paese, ma invece, quello che oggi anche i nostri referenti sul posto ci dicono unanimemente, è che la coalizione internazionale ha commesso il grande errore di mettere al governo i membri dell’Alleanza del Nord che è un insieme di partiti e fazioni per la maggior parte composta da criminali. Quindi, in qualche modo, il popolo afghano è disilluso, ha perso di nuovo tutte le speranze perché credeva veramente che qualcosa potesse cambiare. Ed invece, si è visto di nuovo nelle mani di criminali, criminali che abbiamo legittimato noi. Quindi loro sostengono che se davvero la Comunità Internazionale vuole aiutarli deve dar credito e considerare come interlocutori istituzionali le realtà democratiche del Paese e non quelle di coloro che si sono macchiati di crimini orrendi nell’arco di questi ultimi trent’anni. L’Alleanza del Nord è responsabile dell’aver fatto precipitare l’Afghanistan dal 1992 al 1996 in una guerra civile che ha fatto 65.000 vittime:quindi prova ad immaginare quello che ha provato questo popolo che si è visto al governo questi soggetti… soggetti che avevano fatto 65.000 vittime. Quindi è chiaro che gli interessi tutelati sono altri e non certo quelli della società civile afghana.
ROCKPOETA: Che opinione hai sulla presenza militare ONU? Pensi sia necessaria per permettere alle organizzazioni umanitarie di operare in situazioni di maggiore “calma” o sono solo un impiccio che esiste perché come già abbiamo detto ci sono troppi interessi geopolitici da tutelare da parte degli altri Paesi del mondo?
SIMONA CATALDI: Io credo che la Comunità Internazionale ha delle grosse responsabilità se oggi in Afghanistan, cosa che va detta a gran voce e ribadita sempre, c’è una guerra, guerra che non è mai finita. E noi abbiamo una grossa responsabilità al riguardo anche perché doveva esserci un disarmo che invece non c’è stato, e quindi le milizie private ancora ci sono; la situazione è peggiorata ed il fatto che la situazione si sia deteriorata ulteriormente ha facilitato anche il riemergere del movimento talebano ed il suo graduale rafforzamento. Questo perché parte della società civile afghana ha accolto di nuovo i Talebani come dei liberatori perché in fondo la gente afghana è passata da un governo precedente di criminali ad un altro, quello attuale, anch’esso composto da criminali. Quindi il malcontento ha portato al rafforzamento, anche nei consensi, dei Talebani. La situazione che si è venuta a creare è quindi drammatica, la Comunità Internazionale ha anch’essa molte responsabilità, per cui andarcene adesso dopo aver rinforzato le fazioni di criminali significherebbe lasciare la società civile nelle mani di questi assassini che sono stati sostenuti fino adesso da noi, dalla Comunità Internazionale. Quindi se adesso li abbandoniamo questa gente rischia di trovarsi in mezzo ad una nuova guerra civile anche perché se anche andrà via la Comunità Internazionale non lasceranno il Paese gli Stati confinanti come l’Iran, il Pakistan, l’Arabia Saudita le ex Repubbliche dell’ Unione Sovietica anch’esse confinanati, che cmq sostengono questi criminali attraverso i loro vari partiti. Per cui se anche andiamo via noi, non vanno via loro e scoppierebbe una guerra civile per il potere tra le varie fazioni di criminali; quindi alla fine il popolo afghano non vuole assolutamente essere lasciato solo perché se davvero insorgesse una nuova guerra civile quello che ci dicono, dalle testimonianze che raccogliamo, è che non saranno in grado questa volta, come invece era successo dal 1992 al 1996, di rialzarsi. Questa volta se la storia si dovesse ripetere, non si rimetterebbero più in piedi, non ce la farebbero. Quindi hanno paura e non vogliono essere lasciati soli, ma al contempo non è la soluzione militare quella che loro vogliono; loro chiedono al nostro Governo di smarcarci dalla politica americana, dato che gli USA hanno messo al potere un governo di criminali. Loro ci chiedono di dimostrare di essere in grado di portare avanti una politica estera indipendente da quella americana e quindi lchiedono l’intervento ONU e non quello della NATO. L’Isaf di fatto è lì da quando c’è la NATO. NATO che di fatto ha espopriato, da due anni a questa parte, L’ONU della sua missione.
ROCKPOETA: Quindi era una missione ONU ma di fatto ora è una missione della NATO e gestita dalla NATO.
SIMONA CATALDI: Sì, di fatto, la NATO ha, in questi ultimi due anni, estromesso l’ONU dalla missione. Quindi la missione non è più di ricostruzione, è di offensiva.
ROCKPOETA: Ma allora, quando D’Alema affermò in Parlamento, nel momento in cui si doveva votare per rifinanziare la missione in Afghanistan, che era una missione ONU, il governo di Centrosinistra, per bocca del suo Ministro degli Esteri, forse affermava una cosa… inesatta diciamo… Fermo restando che andarsene ora sarebbe da irresponsabili come hai affermato anche tu. Ma l’altra questione, quella piccola..”imprecisione”, resta no?
SIMONA CATALDI: Si quella informazione era inesatta di fatto dato che il mandato è cambiato e non è più per la ricostruzione. Anche noi italiani, oramai, stiamo facendo una guerra.
ROCKPOETA: Esatto, tant’è vero che ricordo che il Generale ospite quel mercoledì 14 marzo da Lerner affermò chiaramente e candidamente che in Afghanistan si è passati ormai dalla fase di “peace keeping “ a quella di “peace enforcing”.
SIMONA CATALDI: Si infatti l’ha ammesso candidamente. Invece quello che gli afghani vogliono è il mandato ONU, è sicurezza, è la ricostruzione e soprattutto non essere lasciati soli perché adesso gli unici gruppi che hanno il potere sono quelli criminali e questo perché solo questi gruppi hanno goduto del nostro sostegno sia logistico che finanziario. E finché questi gruppi non saranno stati sconfitti loro chiedono il mandato ONU.
ROCKPOETA: Anche se forse un po’ hai già risposto a questa mia domanda, mi dici cosa fate precisamente per aiutare le donne afghane?
SIMONA CATALDI: Come C.I.S.D.A. aiutiamo le donne afghane ma non solo dato che le donne non sono le uniche vittime. Adesso in Afghanistan c’è una guerra in atto per cui tutta la società civile afghana è vittima. Noi cerchiamo di reperire dei finanziamenti per le nostre associazioni di riferimento, che sappiamo essere delle associazioni affidabili, anchè perché noi sappiamo che sono sorte anche molte Onlus locali con il solo scopo di reperire ed intascarsi i fondi dell’Occidente e che sanno parlare bene di diritti ma che ovviamente non lavorano nell’interesse della gente, dei diritti e della democrazia. Noi invece lavoriamo con delle Associazioni che conosciamo bene e che siamo sicure che quindi lavorano seriamente. Per cui noi cerchiamo di recuperare in prima istanza fondi per loro, perché sono solo loro in grado di realizzare veramente qualcosa e sono solo loro inoltre che hanno progetti volti all’istruzione, all’educazione dei bambini, alla realizzazione di orfanotrofi…
ROCKPOETA: Ma voi ricevete anche offerte?
SIMONA CATALDI: Sì
ROCKPOETA: Quindi il messaggio che possiamo dare è che operate in modo corretto e sicuro per cui chiunque volesse darvi una mano sa che nel vostro caso i soldi arrivano veramente a destinazione ed a vantaggio di quelle cause che sono davvero importanti, non cadendo invece nelle mani sbagliate di certe Onlus locali che invece hanno ben altri interessi.
SIMONA CATALDI: Esatto. Peraltro invece a livello locale come C.I.S.D.A. noi non operiamo anche perché per il miglioramento delle condizioni di vita sul territorio sono i locali che sanno come agire al meglio. Noi siamo per una cooperazione che è tesa soltanto ad aiutare queste persone e dar loro strumenti economici per fare in modo tale che poi siano loro stessi a portare avanti le loro iniziative, la loro politica, il loro modo di crescere.
ROCKPOETA: Ma fornite anche strumenti culturali? “Culturali” nel senso di strumenti volti a favorire l’istruzione?
SIMONA CATALDI: Ma guarda, loro sono bravissime. Sull’educazione sono molto più brave di noi. Io ho imparato dalle donne di R.A.W.A. moltissimo per quanto riguarda l’educazione. Loro sono convinte che l’educazione è l’unico mezzo che consente alle persone di avere coscienza. La coscienza dei propri diritti uno la ottiene soltanto se ha cognizione di causa della storia del suo Paese; cosa che purtroppo non ha quasi nessuno perché in Afghanistan c’è un tasso di alfabetizzazione che è bassissimo quindi solo attraverso l’educazione sei cosciente dei tuoi diritti. Loro pertanto promuovono una scuola veramente attiva, dialogica, che parte dall’individuo, dai suoi bisogni primari, e poi, ponendo l’individuo al centro, cerca di fornirgli gli strumenti della critica per essere cosciente di quello che vive ed essere un cittadino responsabile.
ROCKPOETA: La domanda che sto per farti in realtà non è mia ma ti viene posta da ben due lettori del mio blog e precisamente Maddie e Remington. Io in un primo momento non ero così sicuro di farla perché pensavo di aver già dato una risposta. Loro si erano chiesti il perché tutte queste donne indossano il burka. Ed io avevo risposto anche sottolineando come cmq alla fine dei conti mettersi il burka è una delle tante costrizioni a cui la donna è sottoposta in quei paesi. Però, tu mi facevi notare, un cosa particolare prima di iniziare l’intervista, cosa di cui ti chiedo conferma ora qui e che a me pare incredibile: oltre al fatto che il burka, in astratto, è un simbolo di dignità e tradizione, quello che mi ha colpito di più, ma vorrei che fossi tu a dirlo più compiutamente, è il paradosso per il quale in quei posti indossare il burka è, per le donne, quasi un sinonimo di libertà e protezione. Per cui scelgono di metterlo proprio per essere leggermente più sicure. Questo però ti chiedo di spiegarlo meglio tu stessa. Certo, se è così come ho inteso, a me sembra davvero paradossale: si è liberi quando non ci si deve nascondere da nulla e da nessuno no?
SIMONA CATALDI: Allora, il burka è un indumento che fa parte della tradizione questo sì. Ora se adesso le donne continuano ad indossarlo la ragione non risiede nel fatto che non desiderino realmente farne a meno, ma il punto è che oggi non ci sono le condizioni di sicurezza adeguate per consentire loro di non portarlo; ossia effettivamente non è sicuro per una donna andare in giro per strada senza essere coperta. Le donne continuano ancora ad essere aggredite per strada. Ti faccio un esempio anche per farti capire che davvero esiste un divario molto forte tra quello che sulla carta è sancito formalmente dalla Costituzione afghana e quella che invece è la realtà del Paese. Se viene garantito dal punto di vista formale il diritto all’istruzione alle donne, ma poi le donne, le bambine, non possono andare a scuola perché nell’andarci lungo il percorso vengono aggredite, le bambine a scuola non ci vanno, rimangono a casa. Ma non solo: se è garantito il diritto all’istruzione ma poi le scuole non sono state ricostruite, mancano anche le infrastruture per poter svolgere l’attività scolastica. Il personale docente inoltre non è formato, per cui sulla carta può essere dichiarata qualunque cosa ma poi se non viene applicato nulla di quanto la Costituzione stabilisce….
ROCKPOETA: Se non si applica nulla, di fatto si ha una “bella Costituzione” che però resta lettera morta.
SIMONA CATALDI: Esatto, purtroppo applicata non lo è, per cui il divario tra le belle intenzioni e la realtà è enorme. Ed è per questa ragione che le donne, con il burka, si sentono più sicure perché le aggressioni per strada sono ancora tante e se una donna viene aggredita per strada e poi denuncia l’accaduto, rischia, se sposata, anche di essere lapidata perché ha avuto un rapporto sessuale al di fuori del matrimonio. Questa è la realtà in questo Paese; le lapidazioni in Afghanistan ancora si compiono. Ci sono i tribunali locali che di fatto hanno molta più forza e potere di quelli a livello più alto, nazionale per intenderci. Per cui non c’è giustizia e non c’è protezione e quindi l’unico modo per le donne di proteggersi è quello di indossare il burka, di coprirsi se vogliono anche abitare lo spazio pubblico. Di fatto lo spazio pubblico è ancora precluso alla maggior parte delle donne.
ROCKPOETA: però in questo modo un’aggressione può non essere denunciata. Voglio dire che di fatto con il burka la donna rischia cmq forse di essere aggredita e l’unico “vantaggio” che ha è che essendo a volto coperto può esimersi dal denunciare l’accaduto e quindi evitarsi la seconda parte del tuo racconto, il dopo…Ma il rischio dell’aggressione lo corre cmq.
SIMONA CATALDI: Si , lo corre comunque però di meno, perché non si mostra, per cui è più facile evitarle. Lì non si può neanche ridere per strada perché sei considerata una persona poco seria e se vieni considerata una persona poco seria “te lo meriti”. Questa è di fatto una mentalità patriarcale, più che religiosa. L’Afghanistan è una società rurale, tribale e molto patriarcale. Chiaramente poi anni ed anni di guerra non hanno aiutato a cambiare le cose. Peraltro anche noi in Italia se vuoi siamo una società patriarcale, e quindi ci possono essere delle situazioni che non sono diverse da quelle che potevamo avere noi in Italia ad inizio del secolo scorso e che ci sono forse ancora in certe parti del nostro Paese, come probabilmente in Sicilia o in Sardegna. Solo che lì tutto è esasperato ed amplificato dalla guerra e dalla povertà, che sono tutti fattori che esasperano la violenza, il patriarcato, esasperano l’uso strumentale della religione, ecc… Così le donne, nella maggior parte dei casi, come ti dicevo, vedono il burka come protezione, non denunciano gli abusi perché non hanno garanzia di essere tutelate e quindi spesso se una donna subisce delle violenze al massimo la risoluzione è tra privati. Ossia vale ancora la risoluzione tra privati cittadini per cui…
ROCKPOETA: Ma la risoluzione di questa controversia come avviene, con un duello, una sfida?
SIMONA CATALDI: No, non esattamente. Ti racconto un fatto accaduto per spiegarti meglio. Una volta un uomo ha violentato per strada una bambina di 11 anni e questa è diventata una controversia tra privati cittadini ed è stata risolta tra famiglie, nel senso che l’uomo poi è stato accusato dal padre della undicenne perché aveva subito un danno dalla violenza della figlia, anche perché una bambina violentata poi vale molto meno…
ROCKPOETA: sono sconcertato. “ Vale molto meno” . Non si pensa al danno psicologico devastante che la bambina ha subito ma la si considera un bene, un bene economico che di fatto ha subito una minusvalenza…
SIMONA CATALDI: La donna di fatto è un oggetto. E’ proprietà prima del padre, poi del futuro marito ed è un oggetto che serve a dirimere quindi anche delle controversie. Per cui una bambina che viene aggredita per strada da un uomo in qualche modo crea un danno alla sua famiglia, perché non vale più quanto poteva valere prima. Quindi, tornando al fatto, il violentatore ha dovuto in questo caso risarcire il danno in qualche modo. E per far ciò ha dovuto dare al padre della bimba violentata, sua figlia di 6 anni in sposa al figlio appartenente alla famiglia dell’undicenne vittima dello stupro.
E’stato una specie di scambio, tu hai violentato mia figlia ed io ora mi prendo tua figlia a titolo di risarcimento. Quindi questa bambina di 6 anni è diventata sposa ed è entrata nell’altra famiglia. Lei pertanto è diventata schiava chiaramente di quest’altra famiglia. E’ stata tenuta a vivere per quasi due anni in uno scantinato, faceva le pulizie, veniva sistematicamente violentata da tutti i membri maschi della famiglia. Questa è stata la sua vita per quei due anni senza che nessuno dicesse niente, senza che nessuno lo denunciasse, e questo perché l’Afghanistan è una società rurale, tribale e proprio per questo è molto importante l’istruzione perché è una questione culturale. Senza educazione non si migliorerà mai la situazione.
In fondo pure in Italia come siamo arrivati all’emancipazione femminile? Beh, ad un certo punto abbiamo avuto stabilità, non abbiamo più avuto l’ingerenza di nessuno quindi c’è stata in qualche modo una ricostruzione, sono arrivati i soldi, l’economia è stata riavviata, con l’economia si riavvia anche l’educazione e da lì piano piano la donna si è emancipata.
Ma se un Paese è dilaniato da una guerra, se l’unica economia esistente è il narcotraffico, è chiaro che la situazione rimane stagnante e anche culturalmente non decolla.
ROCKPOETA: Già, se poi inoltre è difficile riuscire a soddisfare anche i bisogni primari come mangiare, è chiaro che l’istruzione e tutto il resto passano in secondo piano purtroppo.
SIMONA CATALDI: Esatto. Io poi ho visto che una delle domande che ponevano nel tuo blog era quella sulle vedove…
ROCKPOETA: Esatto, era una delle domande che volevo farti sempre da parte dei lettori del mio blog. Si tratta di Marcoblitz che ti domanda come fa ad andare avanti in un Paese come l’Afghanistan una donna vedova come la moglie dell’autista di Daniele Mastrogiacomo. Quale sarà il destino di questa donna e qual è il destino di tantissime altre donne come lei? D’accordo che nel caso specifico la donna pur con quattro figli sembra che abbia qualche terreno e che forse economicamente potrà resistere, ma per le altre? E poi , non c’è il rischio che sia obbligata a risposarsi? Non credo che sia come da noi dove una donna vedova e con figli può anche decidere di non risposarsi più.
SIMONA CATALDI: No, anche perché fino a poco tempo fa le donne non avevano proprio accesso alla sfera pubblica, erano da questa totalmente escluse. E non sono state escluse dai Talebani ma dall’Alleanza del Nord che c’era prima, dalla guerra civile che c’è stata prima. Quindi le restrizioni nei confronti delle donne non sono da attribuire sempre e soltanto ai Talebani.
ROCKPOETA: Quanto hai appena affermato mi fa venire in mente un commento di Andrea (un altro lettore del mio blog) il quale ha detto che “…in una economia così povera è stato l'unico modo per tenere tranquilli gli uomini. Gli oppressi anche più deboli (ed infimi) avevano qualcuno più debole ed indifeso da sottomettere: la propria moglie, sorella o figlia” . Quindi, penso, si creava una situazione nella quale di fatto, come sosteneva sempre anche Andrea, chiunque venisse poi aveva come scopo quello di tenere soggiogate le donne al fine di creare quel minimo comune denominatore necessario per compattare la popolazione maschile anch’essa povera, sfruttata e senza nulla a parte questo “privilegio” : quello di una vile rivalsa sulle donne.
SIMONA CATALDI: Sì è esatto, se il contesto in cui si vive è esasperato, se c’è guerra ed estrema povertà, può anche essere così. In qualche modo la donna in Afghanistan è culturalmente depositaria dell’onore. E’ nel comportamento della donna che risiede l’onore della famiglia e la famiglia in una società tradizionalista come quella afghana è il cuore della stessa e la famiglia allargata è la base stessa della società afghana. Quindi chiaramente se poi il contesto è esasperato da una condizione di estrema povertà e di guerra permanente, è evidente che questo onere si accentua in tali condizioni e quindi sembra quasi che la donna sia depositaria, con il suo comportamento, dell’onore non solo della sua famiglia ma della società intera.
Quindi la donna diventa così oggetto di oppressione, segregazione, ecc…
Le donne vedove hanno la vita estremamente difficile, prima di tutto perché anche se c’è il diritto al lavoro, la maggior parte delle donne ancora ha difficoltà a lavorare e ad accedere alla vita pubblica senza avere con sé un accompagnatore maschile. Per cui la maggior parte delle donne vedove deve contare sui figli maschi, se ne hanno. Per esempio, noi abbiamo le nostre associazioni di riferimento che usano molto il sistema del microcredito per aiutare le vedove. Il microcredito consiste per esempio nel dar loro 50 polli, polli che le donne possono tenere nel loro cortile di casa in modo da non dover neanche uscire, e poi i figli possono andare a venderli fuori al mercato. Quindi la donne non hanno ancora la possibilità di accedere alla vita pubblica liberamente e senza problemi per cui se e quando hanno dei figli possono ancora in qualche modo, laddove ci sia il sotegno di Onlus locali, sopravvivere, altrimenti sono costrettte alla prostituzione. Ci sono tantissime donne che sono costrette a prostituirsi. Al riguardo c’è un dato molto significativo dell’Unifem (Missione delle Nazioni Unite per le Donne) che dice che il 65% delle 50.000 vedove di Kabul, - perché chiaramente la guerra ha reso le donne vedove e quindi è peggiorata la condizione delle donne - pensa al suicidio come unica via di uscita ancora oggi. Quindi, questo cosa significa? Significa che la maggior parte delle donne veramente vede quella soluzione come l’unica possibile, l’unica che possono scegliersi liberamente. Al riguardo, ti porto un caso emblematico per l'Afghanistan: le donne si bruciano vive, si autoimmolano perché appunto vedono, nel suicidio l’unica scelta che davvero possono praticare, l’unica scelta libera come ti dicevo. E poi sai cosa succede? Succede che quando il tentativo di suicidio fallisce, o cmq sopravvivono perché in qualche modo hanno accesso ad un ospedale, ad una struttura sanitaria e quindi riescono a farcela, e poi decidono di tornare a casa, quello che accade è che una volta fatto ritorno queste donne da quel momento scompaiono, perché le famiglie non le perdonano per aver tentato un gesto simile che è fonte di disonore. Quindi scompaiono nel senso che vengono assassinate perché hanno rovinato l’onore di quella famiglia. Questo è quello che succede ancora. L’Afghanistan è un Paese che ha bisogno di pace ed ha bisogno di un governo stabile che ricostruisca il Paese e che riavvii un’economia che non si basi solo sul narcotraffico. Vanno riaperte le fabbriche. Io quando sono andata lì non ho mai visto una fabbrica. In sostanza c’è, ripeto, la stagnazione più assoluta. Non c’è cambiamento che non sia solo apparenza.
Desidererei però sottolineare che non vorrei che, da quanto sto dicendo, si desumesse che tutti gli afghani sono un gruppo di incivili, barbari, misogeni, perché non è così.
Io sono assolutamente innamorata dell’Afghanistan e delle persone che ho conosciuto laggiù le quali sono persone meravigliose e gli uomini che ho conosciuto là sono molto più “open-mind” molto più aperti di tanti uomini conosciuti qui da noi. Questo signfica che questi comportamenti non sono un qualcosa di insito nella loro natura ma deriva dalle conseguenze dell’abbrutimento per la guerra e la povertà.
ROCKPOETA: Forse possiamo dire che c’è una divisione fra coloro i quali sono più “affezionati” al modello autoritario e patriarcale ed altri invece più aperti no?
SIMONA CATALDI: La verità è che le persone che hanno la fortuna di aver accesso all’educazione cambiano, cambiano radicalmente e capiscono. Tu devi immaginare la realtà di questo Paese costituito da molti villaggi isolati e separati da importanti catene montuose. Ma quelle persone che possono e riescono ad uscire da questa condizione di estrema povertà e riescono ad accedere ad un minimo di educazione di base, sono persone che poi diventano molto più illuminate di quanto uno non riesca ad immaginare. Per es., una delle associazioni di riferimento come H.A.W.C.A. (Humanitarian Association for Afghan Women and Children) e che lavora con donne e bambini, ha come suo presidente un uomo ed è uno degli uomini migliori che io abbia mai conosciuto, estremamente aperto e che lavora per i diritti delle donne veramente. E ci sono anche tantissimi uomini che realmente lavorano e si impegnano per i diritti delle donne. E’ solo una questione di mancanza di accesso alle risorse. Bisogna pensare all’ Afghanistan come ad un Paese che da più di trent’anni, perché è dall’inizio del secolo che subisce l’ingerenza continua degli Sati confinanti e delle potenze straniere dei paesi occidentali, non riesce a tentare uno sviluppo autonomo.
ROCKPOETA: Da quanto ho capito quella sera da Lerner, tu sei in contatto con quella parlamentare afghana che si chiama Malalai Joya che vive come fosse una latitante, una criminale. Lei, donna coraggiosa che ha “osato” denunciare la presenza all’interno del Parlamento afghano dei Signori della Guerra, vive purtroppo come una fuggiasca. Di fatto quindi osservavo che il Parlamento afghano è un organismo ultraconservatore e controllato da molti di questi Signori della Guerra. Quello che mi chiedevo pertanto era se ha fiducia e crede in un futuro migliore per il suo Paese nonostante tutto, visto che cmq continua a lottare, e che stato d’animo ha quando la senti. Tra l’altro mi dicevi che adesso lei è perfino fuori dall’Afghanistan in un Paese non dell’area araba in questo momento proprio perché ha subito tante minacce e tentativi di attentati tali da non essere stata in grado di sostenerli oltre. Ma immagino che cmq non abbia la minima intenzione di arrendersi e voglia ancora e sempre far sentire forte la sua voce.
SIMONA CATALDI: Allora, io non lavoro solo con Malalai ma anche con queste altre associazioni: H.A.W.A. , O.P.A.W.C. (Organitation for Promoting Afghan Women Capabilities) e R.A.W.A. (Revolutionary Association of Afghan Women).
Tutte le persone con cui sono in contatto sono persone illuminate, persone spesso autodidatte, sono persone che parlano in inglese e che potrebbero anche abbandonare quel Paese ma invece restano lì perché amano il loro Paese e lo vogliono ricostruire, e perché sono rappresentanti di una maggioranza che per quanto possa sembrare strano è piena di vitalità ed umanità che qui in Italia non ho mai conosciuto. E non lascerebbero mai il loro Paese in balia di questi criminali ed hanno speranze. Io non lo so loro come fanno ad avere speranze, ma le hanno. E quel poco che io ho fatto sono riuscita a farlo perché loro mi hanno dato la forza di farlo, perché ho pensato che se loro hanno il coraggio di sperare, loro che vivono lì , e non come me che faccio una missione da 20/25 giorni all’anno e rientro carica ma distrutta, perché perderla noi da qui. E’ molto più facile per me da qui denunciare certe cose che per loro da laggiù dove mettono a repentaglio la loro vita per farlo. Quindi sì che ce l’hanno speranza, sì che ce l’hanno e vogliono, vogliono essere rappresentati perché loro sono maggioranza, ma non sono la maggioranza che i nostri media raccontano, sono quella silente, quella schiacciata, quella che non racconta nessuno ma nonostante tutto loro hanno speranza e forse anche noi dovremmo averla per loro e imparare qualcosa da loro perché hanno tanto da insegnare. Questo penso. Anche Malalai potrebbe scappare e venire a vivere in Italia ma lei ha scelto di stare lì e se è diventata l’eroina di un popolo vuol dire che un popolo che crede in quello che lei dice c’è, ed anche un popolo che crede nel valore delle donne c’è, visto che l’eroina del popolo afghano è una donna.
ROCKPOETA: Questione afghana e Pakistan: come sono intrecciate secondo te queste realtà e come si potrebbe agire per cercare di arginare questo tentativo di annessione indiretta dell’Afghanistan da parte del Governo pakistano. Come si può evitare questo, attraverso azioni militari di “peace enforcing” o di semplice “peace-keeping” ed evitare che il Pakistan finanzi i gruppi armati afghani. Con sanzioni? Come?
SIMONA CATALDI: Beh è una domanda un po’ difficile nel senso che se avessi la soluzione al conflitto afghano sicuramente…
ROCKPOETA: Certo, però io pensavo che una come te che cmq è stata sul posto, ha visto e vede continuamente certe realtà , magari potrebbe dire "una cosa pratica che si potrebbe fare potrebbe essere questa..” Un’idea un pensiero niente di decisivo. Per es. usare la missione ONU e non NATO per cercare di fermare le intromissioni in Afghanistan dal confine pakistano
SIMONA CATALDI: Io non so se esiste un modo per evitare queste ingerenze. Intanto bisogna dire che non è solo il Pakistan ad ingerire negli affari interni afghani ma anche L’Arabia Saudita, l’Iran, ecc. come già ti dicevo. Storicamente, da sempre, tutti gli Stati confinanti con l’Afghanistan hanno sempre in qualche modo ingerito negli affari interni di questo Paese, finanziando dei partiti quindi indirettamente. Penso anche ai servizi segreti del Pakistan ed alle loro azioni quindi onestamente non so cosa si potrebbe fare per porre un freno a tutto questo anche perché l’appoggio a queste fazioni di criminali non avviene mai alla luce del sole ma spesso avviene attraverso i servizi segreti. Però io penso che ancora prima di impedire e fare qualcosa nei confronti degli Stati confinanti, forse potremmo cercare di lavorare noi su un intervento diverso in quell’area.
ROCKPOETA: Quindi, tu dici, rafforziamo il Governo afghano appoggiando quelle forze politiche che realmente vogliono far crescere il Paese e le ingerenze a quel punto con il tempo diminuiranno perché il Governo sarà forte e sarà in grado di reggere l’urto di un tentativo destabilizzante di infiltrazione.
SIMONA CATALDI: Beh, magari. In fondo se c’è una maggioranza democratica che al momento è schiacciata è perché dall’altro lato abbiamo un gruppo di criminali che per quanto siano una minoranza, avvalendosi e forti del sostegno logistico, finanziario e politico nostro e degli Stati confinanti, riescono a tenere soggiogata l’intera popolazione. Io penso che la premessa indispensabile per ricostruire e pacificare un Paese sia la verità, nel senso che la prima cosa da fare è occuparsi della giustizia sociale e quindi un Tribunale Internazionale dove vengano giudicati e condannati tutti i criminali che nell’arco degli ultimi trent’anni hanno commesso dei crimini gravi contro la società civile, e parliamo di migliaia e migliaia di persone uccise. E non invece ribadisco messi al Governo. Altrimenti cosa ci possiamo aspettare che cambi? Altrimenti dobbiamo per forza dedurre che gli interessi che in quel Paese stanno proteggendo non sono certo quelli della popolazione afghana, ma sono altri come poi è sempre stato anche in passato. Tu pensa che il Parlamento afghano sta approvando una legge che decreta l’amnistia per i Parlamentari che sono stati anche criminali di guerra perché, dicono, solo così si può iniziare un processo di riappacificazione di un popolo e solo così si avrebbe una vera riconciliazione nazionale in Afghanistan. Noi invece sosteniamo che i criminali di guerra vanno messi in galera, perché la riconciliazione nazionale va fatta soltanto con le realtà democratiche del Paese e dando potere e sostegno alle realtà democratiche presenti sul territorio al contrario di come si è fatto fino ad ora. Noi abbiamo delle responsabilità, come dicevo prima, per aver rafforzato una minoranza criminale; dobbiamo, quindi, secondo me, cercare gli interlocutori giusti ed aiutare quelli, anche economicamente, per aiutare questa nazione a rialzarsi e cominciare a vivere. Ma se poi 18 miliardi di dollari stanziati per la ricostruzione vengono dati all’attuale Governo afghano costituito a larga maggioranza da criminali, i governatori ovviamente quei soldi se li intascano e non li usano certo per aiutare la società civile di quel Paese a ricominiciare. E poi, non è certo permettendo che venga approvato quel provvedimento di amnistia che si aiuterà il popolo afghano. Ora, io mi rendo conto che se qui in Italia faccio dei nomi come Rabbani Burhanuddin, o Karim Khalili (vicepresidente del Governo afghano) Rashid Dostum, Abdul Rabb e Al Rasul Sayyaff pochi li conoscono ma il Mullah Omar lo conosciamo tutti e l’amnistia è anche per lui.
ROCKPOETA: Allargando per un attimo la discussione ma restando sempre in tema, io penso che la liberazione della donna islamica sia un passaggio chiave per la fine di questa guerra tra l’Islam e l’Occidente. Lo penso perché credo che, salvo davvero rarissime eccezioni, il vero “Islam moderato” sia rappresentato proprio dalle donne di questi Paesi e che solo quando saranno libere ed in grado di ricoprire anche ruoli di potere a livello politico e sociale qualcosa in meglio cambierà; penso infatti che il vero scontro di civiltà nasca paradossalmente proprio per la condizione della donna in quei luoghi. Con internet, e con la famigerata globalizzazione, oggi per la società islamica è più difficile tenere completamente all’oscuro la donna su quanto succede altrove. Ecco quindi che la nostra società occidentale, pur con tutte le sue contraddizioni, è penso, sotto questo profilo, una vera minaccia, un forte elemento destabilizzante del loro modello sociale. Questo però mi porta alla domanda che volevo farti e cioè, quante generazioni saranno necessarie secondo te per far sì che si instauri e si stabilizzi questo cambiamento culturale e di mentalità? Lo chiedo perché ripeto, penso che per molti aspetti, i due fenomeni siano collegati: liberazione della donna islamica e avvicinamento di questi due mondi. Tu che pensi al riguardo?
SIMONA CATALDI: Questa è una domanda un po’ difficile perché in primo luogo io non credo che ci sia uno scontro di civiltà e credo sia un’invenzione di Samuel Huntington
e che in qualche modo queste grandi contrapposizioni “Occidente – Oriente” siano poi anche dei pretesti per giustificare guerre ecc.. Io penso che l’Islam in sé non è affatto una dottrina misogina. La religione islamica è in realtà molto più egualitaria di quanto per es. non lo sia il cattolicesimo per quanto concerne la condizione della donna. Il problema è che dobbiamo distinguere la religione come insieme di principi da quello in cui poi la religione si trasforma quando si cala in una determinata realtà. E poi ancora è necessario distinguere l’ipotesi in cui un credo religioso viene calato in un contesto pacificato e di normalità e quella in cui invece la religione si inserisce all’interno di un contesto esasperato dalla guerra e che quindi diventa fondamentalismo. Integralismo e fondamentalismo appartengono peraltro a tutte le religioni non solo a quella islamica. Esiste anche un integralismo cattolico.
Ora tu mi dicevi che se le donne islamiche fossero libere ed emancipate forse..
ROCKPOETA: Sì, io credo che la chiave di volta sia quella perché penso che la civiltà islamica si basa sulla sottomissione della donna per cui…
SIMONA CATALDI: Però in realtà la civiltà islamica non si basa sulla sottomissione della donna. E’ il fondamentalismo islamico che si basa sulla sottomissione della donna
ROCKPOETA: D’accordo, però nel momento in cui i governi accettano il fondamentalismo islamico come forma stessa di governo istituzionalizzandolo, automaticamente quei regimi diventano fondamentalisti e quindi la donna ne consegue che viene a subire una forma dura di repressione. E ci sono Stati con queste caratteristiche, basti pensare solamente al Pakistan. Poi tu mi dicevi che però spesso ci sono situazioni dove la maggioranza delle persone non è così; ma questo è possibile dato che, spesso, quando c’è una dittatura al potere è chiaro che c’è una classe sociale legata al potere stesso, una piccola oligarchia che di fatto tiene schiacciata la maggioranza della società civile di quel Paese e che vessa e umilia un intero popolo. Però tornando alla questione islamica, resta il fatto che molti di quei regimi sono fondamentalisti.
SIMONA CATALDI: Sì, è il fondamentalismo che prevede la segregazione e la sottomissione della donna ma non è l’islam in sé. Anche perché ripeto in linea di principio il cattolicesimo è più maschilista dell’islam. Allora è in realtà l’uso politico della religione ad essere sbagliato. Ed il fondamentalismo è una forma di uso politico della religione. Il fondamentalismo si ha quando tu usi la religione per avallare il tuo potere temporale.
ROCKPOETA: Beh, non avrei potuto trovare definizione migliore sinceramente.
SIMONA CATALDI: Tu dici?
ROCKPOETA : Sì
SIMONA CATALDI: Beh, meno male (ridiamo entrambi). Beh è chiaro quindi che è il fondamentalismo che va estirpato perché il fondamentalimo e l’integralismo sono delle esasperazioni che fanno male a qualunque religione e rendono aberrante ogni credo religioso. Ed in infatti in Afghanistan oggi se chiedi vedrai che la società civile ti dirà che la base del potere non è cambiata, perchè la base del potere laggiù è ancora il fondamentalismo religioso e non l’islam. Ma il fondamentalsimo si innesta quando c’è instabilità, insicurezza, povertà. In fondo se pensiamo anche ai Talebani che tutti conosciamo bene, perché sono nati? Chi erano i Talebani? I Talebani erano profughi afghani che scappavano dall’Afghanstan al tempo della guerra civile dei mujahidin. Ed è allora che è cominciato l’esodo di molti afghani nei territori limitrofi compreso il Pakistan, formandosi numerosi campi profughi perché l’Afghanistan ancora oggi, secondo i dati dell’UNHCR, che è l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati, è il secondo Paese che ha il più alto tasso di rifugiati al mondo.
Tutti questi rifugiati vivono in campi profughi dove spesso, come accade per es. in Pakistan, non hanno nessun diritto e non sono riconosciuti vivendo in condizioni di estrema difficoltà. Quindi è chiaro che se il Governo pakistano mette su delle scuole ed in quelle scuole garantisce vitto ed alloggio, i profughi vanno in queste scuole. Se poi sono scuole integraliste è chiaro che quei bambini subiranno un indottrinamento. Ecco come nasce e si sviluppa il fondamentalismo. Senza la povertà e la disperazione il fondamentalismo non avrebbe mai attecchito anche perché l’Afghanistan è un Paese molto poco religioso.
ROCKPOETA: Mi perdonerai se sbaglio, ma dal di fuori sembra che ci siano oggi in Afghanistan diverse realtà tra i Talebani. Da un lato quelli più radicali ed integralisti fino ad arrivare agli altri che io definisco “Affaristi” cioè quelli che per es producono droga, ossia pertanto un gruppo di Talebani più “imprenditoriale” se mi passi l’espressione. Mi sto chiedendo di fatto chi comandi tra loro in realtà e quali sono i nostri interlocutori reali e se c’è il rischio che queste diverse realtà talebane possano entrare in conflitto tra loro. Esiste secondo te il rischio di una guerra all’interno della guerra?
SIMONA CATALDI: guerra civile quindi dato che storicamente in Afghanistan la guerra civile non è mai stata tra la società civile ed un gruppo che vuole avere il controllo del territorio, ma è stata tra vari gruppi di criminali che finita la minaccia esterna si sono dati battaglia. Vedi, l’Afghanistan è un paese diviso, di fatto sono tribù situate in villaggi isolati gli uni dagli altri, ed è organizzato pertanto ancora in maniera tribale. Quindi di fronte alla minaccia di un nemico dall’esterno si riuniscono per far fronte comune contro il nemico come è accaduto anche con l’occupazione sovietica. Terminata la minaccia esterna, tutti i capi tribù iniziano a farsi la guerra tra loro per controllare più territorio possibile e avere più potere.
Ma il rischio vero che oggi esiste di guerra civile in Afghanistan si ha nell’ipotesi in cui la Comunità Internazionale abbandoni il Paese. Se questo dovesse accadere, il Governo attuale è debolissimo per cui scoppierebbe una guerra civile tra il Governo composto per la maggior parte dai membri dell’Alleanza del Nord e gli insorgenti cioè tutti coloro che sono contro il governo attuale compresi i Talebani.
ROCKPOETA: Come compresi i Talebani?
SIMONA CATALDI: Sì, perché possiamo sommariamente dire che ci sono tre tipi di Talebani: ci sono quelli che fanno capo ad Al Quaeda, quelli che sono finanziati dal Pakistan e poi ci sono quelli che chiamano gli insorgenti, che stanno a sud, che combattono contro il Governo di criminali che c’è attualmente, che hanno anche parte del sostegno della società civile e che non sono legati né ad Al Quaeda né al Pakistan. Ecco forse loro potrebbero essere gli unici interlocutori possibili per un tentativo di mediazione.
Però in realtà la situazione è molto più complessa dato che ci sono così tanti gruppi che è difficile individuare davvero un interlocutore. Poi ci sono anche i narcotrafficanti tra i quali possiamo ricordare il fratello di Karzai che è tra i principali e Karzai è il Presidente… Quindi come vedi è una realtà molto più sfaccettata di quella che sembra e si deve andare oltre le apparenze perché queste nascondono una realtà che è ben diversa e forse il problema di fondo è che oltre l’apparenza non si è mai voluti andare. Noi facciamo un appello affinché l’opinione pubblica sia più cosciente e creda meno a quello che le viene rappresentato in via mediatica in maniera così suggestiva come la donna ed il burka. Sono tutte semplificazioni per non affrontare la realtà.
ROCKPOETA: Tu volevi fare una precisazione, e cioè sia tu che tutte coloro che appartengono al C.I.S.D.A. non prendete nulla e ciascuna di voi fa altro per guadagnarsi da vivere giusto?
SIMONA CATALDI: Noi siamo un gruppo di donne che hanno cominciato a costruire legami concreti attraverso i viaggi con le donne afghane e attraverso anche le associazioni che sono presenti sul territorio afghano. Il C.I. S. D. A. nasce due o tre anni fa e ci siamo dati una forma giuridica per poter reperire più fondi per le nostri associazioni. Io nella vita lavoro a “Un Ponte per” che è un’altra organizzazione non governativa che lavora sull’Iraq.
ROCKPOETA: Beh, mi viene allora da farti una domanda ulteriore visto anche dove lavori e cioè che similitudini e che differenze trovi tra Iraq ed Afghanistan
SIMONA CATALDI: Beh, di differenze ce ne sono tantissime perché sono due Paesi ciascuno dei quali ha una sua storia. Forse il denominatore comune è l’ingerenza esterna che ha portato alla guerra che nel marzo del 2003 ha a sua volta portato ad un’instabilità ancora oggi insanabile. Sono pure sorte le guerre confessionali che in Iraq erano del tutto sconosciute e non c’erano mai state e questo a dimostrazione che spesso è la guerra che diventa terreno fertile per il fondamentalismo come dicevo prima.
ROCKPOETA: D’accordo ma c’è da dire che con Saddam Hussein c’era una dittatura che, come dicevo prima, finché lui non ha avuto atteggiamenti ostili agli Usa era tranquillamente accettata però pensando oggi a questa guerra civile in Iraq tra varie etnie del Paese (Sunniti, Sciiti, ecc..) mi verrebbe da dire che certi popoli sono così divisi che riescono a rimanere compatti solo con un potere forte. Il che mi fa pensare che siano immaturi e incapaci di convivere pacificamente tra loro. Mi viene in mente l’ex Jugoslavia per es. O forse, chissà, a volte ci sono popoli ed etnie che non sanno per varie ragioni proprio stare insieme, magari per ragioni storiche profonde forse…
SIMONA CATALDI: L’unico modo per un popolo di essere unito non è la dittatura ma è quello di non subire nessuna ingerenza e poter costruire la propria identità autonomamente.
ROCKPOETA: D’accordo, però prendendo come esempio l’ex Jugoslavia, lì alla morte di Tito Serbi, Croati , ecc… si sono scontrati con forza ed ora infatti la realtà geopolitica di quell’area è ben diversa come sappiamo. E lì, in prima istanza, ingerenze non ce ne furono. Tornando al caso iracheno mi sembra che queste etnie non abbiano intenzione di trovare cmq un accordo. Quindi ora o si spartisce l’Iraq tra Sunniti, Sciiti, ecc.. oppure un accordo andrebbe trovato, questo sempre tenendo presente che in Iraq la situazione è molto più complessa e abbiamo anche forze straniere sul campo ovviamente.
SIMONA CATALDI: Però per es. in Iraq prima della guerra non c’erano divisioni confessionali questo come lo spieghi?
ROCKPOETA: Beh c’era un dittatore che incentrava sul culto di sé il suo potere e non potevi avere nessuna fede religiosa in quanto era lui da venerare ed idolatrare.
SIMONA CATALDI: Ok, però tornando anche alla tua domanda di partenza io non penso che sia una questione legata al popolo ma sia sempre una questione di ingerenza.Tu pensa al tentativo in atto di privatizzare il petrolio iracheno da parte dell’ENI ed è ancora in corso una guerra… Forse prima dovremmo preoccuparci di far cessare il conflitto in Iraq, di stabilizzare il Paese e forse dando una vera possibilità al popolo iracheno di ricostruirsi, solo allora potremmo vedere se realemente sarebbero maturi e capaci per porre in essere qualcosa. Solo però vedendo cosa saprebbero fare in condizioni di pace potremmo dare un giudizio obiettivo. Ma non ora, con ancora una guerra in corso.
6316 morti dall’inizio del 2007 in Iraq.
ROCKPOETA: Si, in effetti siamo ben lontani dall’avere un Paese in pace. Con questa domanda la mia intervista termina. Ti ringrazio moltissimo per avermela concessa.
SIMONA CATALDI: Grazie a te davvero. Ciao.
Mi ha impressionato molto la tua intervista. Credevo di essere informato sulla situazione afghana ma non è così. Mi si è ribaltata l'idea che le associazioni umanitarie sono contrarie all'interventismo. Non è così anche se di un intervento diverso si tratta, l'intervento deve permanere. Poi la storia delle bimbe afghane si commenta da solo.
RispondiEliminaGrazie. E' una delle cose più interessanti che ho letto sull'argomento.Scusa la franchezza, è quasi sprecata per un blog. E scusa, cosa ne pensi, della polemica degli Usa sui metodi di liberazione di Mastrogiacomo.
RispondiEliminaGrazie per aver fatto anche la mia domanda. E' molto interessante quello di cui ci avete messo al corrente. Me la sono stampata per leggerla con comodo e mi riservo altri commenti. Ma i giornalisti queste cose non le dicono?
RispondiEliminaBellissima intervista, davvero. Mi è piaciuto leggere,finalmente, qualcosa sul ruolo della donna nell'Islam, sul burqa ecc. che non fosse basato sui soliti stereotipi; ed ho trovato molto interessante quello che dice Simona Cataldi sull'educazione in Afghanistan. Grazie a Rockpoeta per averle dato voce.
RispondiEliminaBeh grazie per le vostre belle parole.
RispondiEliminaRispondo alle vostre domande:
1) Cara Rosy io quello che penso su certe prese di posizione americane... eh.... non posso dire temo Guantanamo LOL!!!
Scherzi a parte, non vale la pena neanche di commentare l'atteggiamento USA sulla vicenda Mastrogiacomo se non per dire che é la prova ulteriore di come hanno la coda di paglia in relazione alla situazione afghana ed irachena.
Penso anche che, per alcune questioni, la responsabilità sia da attribuire anche al nostro Governo il quale sembra essere uno zerbino USA quasi quanto se non di più del Governo Berlusconi.
Scusate ma io credo che un Governo serio di fronte al rifiuto di consegnarci l'assassino di Callipari quantomeno avrebbe dovuto bloccare o rallentare di molto l'approvazione dell'allargamento della base di Vicenza.
Invece neanche uno squallido compromesso sono riusciti a realizzare. Un compromesso classico della "politica" tipo: "ok per Vicenza ma tu ci dai l'omicida di Callipari"
Tanto lo sappiamo che la politica é così spesso.. soprattutto la politica estera.
E invece.... Italia - USA 0-2 e una ferita profonda lacera la nostra dignità.
2) Remington scusa se ti rispondo brevissimamente ma non c'é molto da dilunguarsi LOL! La risposta alla tua domanda é: NO.
Ero da Lerner e c'era anche la Cataldi, quindi come ho potuto io sapere queste cose da Simona poteva farlo tranquillamente Lerner.
Forse chissà per esigenze televisive non é riscito mah... Forse invece non ha voluto.
Mi ha colpito molto l'insistenza della tua ospite sui "criminali" al governo. E' davvero un governo in mano a delinquenti che pensano solo ad arricchirsi alle spalle del popolo con i soldi dell'Occidente? E' vergognoso!
RispondiEliminaPer Laurie...te ne stupisci, ti scandalizzi? Ok una reazione genuina, ma su, sono cose che si sanno, il fatto che siano scontate non vuole dire che siano purtroppo vere. Non succede solo in afghanistan.
RispondiEliminaMa mi stupisco solo di una cosa. Nemmeno una domanda su Mastrogiacomo. E' stata una scelta?
RispondiEliminaImplicitamente ed indirettamente ti rispondo di si. E le ragioni sono essenzialmente due:la prima che di Mastrogiacomo ne hanno parlato tutti ampiamente e la seconda che cmq io volevo che si conoscessero delle realta di quel Paese ad oggi sconosciute ai piu. Inoltre se devo pensare che domanda avrei potuto rivolgerle su Mastrogiacomo, l'unica che avrei potuto fare era come mai rapiscono i giornalisti. Ma, secondo me, la risposta sarebbe stata che lo fanno ovviamente per cercare di far abbandonare il Paese dagli Occidentali per essere liberi di fare poi quello che vogliono ed inoltre anche per impedire ai giornalisti stessi di docu;mentare quello che davvero succede laggiu. Cmq io vorrei ricordare che l'interprete si trova ancora loro prigioniero... Credo che sia di lui ora che ci si deve occupare dato che per fortuna la brutta esperienza di Mastrogiacomo e finita bene.
RispondiEliminaAllora, nonostante tutto, non possiamo ritirare le truppe dall'afghanistan (e dall'iraq a questo punto). Va bene dovrebbero essere truppe ONU e non Nato, ma allora ritenete giusto restarci?
RispondiEliminaSì, ma sarebbe importante riuscire a farlo alle condizioni sostenute da Simona Cataldi e tornando ad essere un mandato ONU e non NATO.
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